Franco Jacopino, “Sogno di regalare ai giovani reggini un museo con tutti i ricordi di una vita: la mia”

Lo consideriamo uno degli uomini che più in alto di tutti ha portato e diffuso il nome di Reggio in ambito nazionale ed internazionale. Sicuramente, in assoluto, lo è nel campo sportivo, in generale, ed in quello calcistico, in particolare. E' colui al quale, in determinati ambienti, se si dice “Reggio Calabria” gli si accosta immediatamente il suo nome e cognome. In automatico, senza nemmeno necessità di sforzi di memoria. E’ Franco Jacopino (nella foto), chi altri sennò? Ci lega un rapporto “atipico”, per certi versi. Non quello comune tra giornalista e dirigente di una squadra di calcio. Un rapporto schietto, leale, sincero e scevro da qualunque tipologia di interessi sia da un lato che dall’altro. L’avevamo incontrato il 21 dicembre scorso allorquando, ospiti della stessa trasmissione sportiva, era stato un piacere rivederlo e riabbracciarlo. Era stato, ovviamente, un piacere chiacchierare con lui a telecamere e microfoni spenti. Non possiamo non essere tra i tanti reggini che rivedono in lui quella Reggina che, adesso, ahinoi, non è più la stessa. Non tanto, per intenderci, quella della serie A o dei fasti degli anni passati – il Franco “amaranto” ha vissuto certamente più retrocessioni che promozioni, più sconfitte che vittorie -, ma quella società che ha da tempo iniziato la propria dismissione così come già scritto, qui, e detto, in altre sedi. Abbiamo detto che la Reggina di oggi non è più LA Reggina. E’ un qualcosa che non si sa più bene cosa sia. Purtroppo. Ma torniamo a noi.

E’ andato via da Reggio nell’estate del 2004. Nessuno si aspettava nulla del genere. Negli anni erano cambiati presidenti, allenatori, direttori sportivi, giocatori e dirigenti, ma lui aveva resistito fino ad allora per ben 4 decenni. Si, 40 anni e passa. 40 anni di lungimirante presenza, da raccattapalle a giocatore e poi, causa la vista (come lui stesso candidamente ammette), da segretario a direttore generale. Un uomo, l’amico Franco, che ha saputo fare da trade union tra dirigenza e squadra, tra presidente ed allenatore, tra magazzinieri e giocatori, tra Società e Stampa, tra tifoseria e Reggina “dalla a alla z”. Non ha bisogno né di lusinghe né di presentazioni, Jacopino, chiunque l’abbia conosciuto sa che le nostre parole appaiono scontate, futili, quasi banali, allorquando parliamo di lui. Pure le pietre sanno chi è e cos’ha fatto per la Reggina. Non per nulla gode di una stima ed un rispetto che vanno ben oltre l’immaginario, ben oltre l'invidia che qualcuno ha e che, ahilui, può continuare ad avere. Non che non l’avessimo messo in preventivo, ma durante la nostra amichevole chiacchierata siamo stati interrotti da amici, colleghi, tifosi, tutti a vario titolo giunti per portargli il proprio saluto. E’ stanco ed affaticato, il nostro amico, oltre che per l’essere giunto nella sua Reggio alle 2 di notte tra giovedì e venerdì, anche per gli innumerevoli attestati di stima e di affetto appena sceso dal pullman della squadra prima della seduta di allenamento di venerdì pomeriggio al “Centro Sportivo Ciccio Cozza”. Una messe di persone che hanno voluto rendergli omaggio mettendo a dura prova le sue emozioni, ghiandole e dotti lacrimali annessi. E’ l’ineluttabile segno che ciò che si semina si raccoglie. Difficile immaginare che, qualcun altro, goda o possa mai godere delle stesse attenzioni. E’ difficile immaginarlo non solo adesso che si è quint’ultimi in serie B, ma anche in altre occasioni a dire il vero. Il fatto è, insomma, che non è il ruolo che si riveste a far la differenza, non è l’essere Direttore Generale o Presidente il motivo principe per cui si è o meno rispettati. Il “quid” è l’essere Uomo o ominicchio. La sostanziale differenza sta nello spessore umano, personale e, di conseguenza, professionale che ognuno di noi ha e manifesta. Bluffare si può, certo, anche con successo se si è attori di un certo calibro, ma, presto o tardi, poi i nodi vengono sempre al pettine. E’ questo che ci differenzia gli uni dagli altri, non i titoli o le cariche ricoperte con più o meno successo. Nella vita si è “Uomini o Caporali”, difficile, molto difficile, che i primi vivano come i secondi e che, ovviamente, i secondi vivano come i primi. Forse, e sottolineiamo forse, per un periodo più o meno lungo di tempo, i secondi possono vivacchiare tentando di imitare come vivono di norma i primi, ma poi, alla lunga, le distanze tra i due mondi tornano ad essere nitide, ben definite, con un solco infinito tra di loro e quindi. A buon intenditor… Dopo due stagioni a Catanzaro, ha lasciato la regione natìa per andare a mettere la propria incommensurabile esperienza al servizio di una Società del nord. In quella terra d’Emilia ricca, opulenta, leghista ed un pò razzista, facendo capolino a Modena. Città molto bella, a dire il vero, in cui la comunità meridionale, in generale, e reggina, in particolare, è numerosa e contribuisce all’economia della zona in maniera diremmo non certo indifferente. Non potevamo, dicevamo, lasciarci sfuggire l’occasione di chiacchierare con lui in compagnia – solo perché la memoria non ci aiuta più come un tempo – di un registratore che non può e non deve registrare su nastro emozioni, fatti e circostanze che è giusto restino indelebili nelle nostre memorie dopo quasi un’ora d’intensa chiacchierata. Qui, di seguito, per la cronaca, è riportato solo quello che ai più è dato sapere. Partiamo da qualcosa che certamente, a prescindere da tutto, ti sta a cuore: la Reggina. Cosa manca da qualche anno a questa parte alla nostra squadra? “Mah! Credo che manchi organizzazione. Manca quel senso di appartenenza che ci accomunava tutti insieme fino a qualche anno fa. Manca quel lavoro di equipe che ha caratterizzato tanti e tanti anni miei di lavoro qui e che hanno consentito alla Reggina di essere ciò che è stata. Il calcio moderno, da tempo, non è più monocratico. L’immensa mole di lavoro non può essere supportata e sopportata da un solo uomo. E’ necessario che ci sia un gruppo di persone che lavorino insieme ma distintamente ognuno per ciò che gli compete. L’essere solisti non può pagare. Questo è il calcio di oggi. Credo che manchi questo nonostante qualche dirigente penso che assolva a questi compiti. Ripeto, oggi è molto più specifico che un tempo il discorso “calcio”. Oggi è necessario essere in possesso di professionalità. E’ importante, fondamentale direi la professionalità e non si può più improvvisare.” Ho avuto modo di “denunciare” più volte l’evoluzione, o per meglio dire l’involuzione, della Reggina da qualche anno a questa parte. Per esempio, ma non per ultimo, la considerazione che ai “tuoi tempi”, per intenderci, le beghe, le problematiche, i contraddittori che sempre ci sono stati e sempre ci saranno sia nello spogliatoio che nelle stanze della sede, restavano lì dentro e lì veniva risolte. Adesso si sa tutto di tutti. Questa evidente difficoltà nel gestire gli affari interni come la spieghi? “Devo ripetermi. La differenza la fa la professionalità. Quella che ognuno acquisisce con l’esperienza, con il proprio lavoro, con i sacrifici, con l’abnegazione, con l’amore per il proprio lavoro. Io, innamorato della mia professione, ho avuto una fortuna in più che è stata anche la mia maggiore motivazione: lavorare per la squadra della mia terra, della mia città, dare tutto quello che avevo a qualcosa che mi apparteneva e mi appartiene ancor oggi che la guardo da lontano”. Com’è possibile, però, che qualunque fatto increscioso accaduto e che dovrebbe essere “lavato”, come i panni sporchi, “in famiglia”, esca fuori manifestando situazioni persino imbarazzanti? Manca il custode, colui che è capace di mediare e risolvere. Ricordo la nostra lite furibonda durante una conferenza stampa con l’allora tecnico amaranto Camolese. Era proprio nel corso della tua ultima stagione a Reggio, nel 2004. Ricordo anche che, alla ripresa degli allenamenti, ci chiamasti e ci “convocasti” in una stanza dov’eravamo chiusi noi, tu e l’allenatore. Lì ognuno disse la sua e finì tutto con una stretta di mano. “Ma vedi, io dico che questi accadimenti sono perfino indispensabili. Sono indispensabili le liti, se non ci fossero non ci sarebbe nemmeno modo di confrontarsi. Mi chiamavano “democristiano”, ma io sono “democristiano” e me ne sono sempre vantato. Tra l’altro, seguace del miglior Andreotti. Ma non perché questo volesse dire non essere sicuro, no. Ma parchè, a volte, fare un passo indietro sulle proprie posizioni, o farlo in avanti, dopo un confronto schietto e diretto, risolve certamente i problemi. L’episodio a cui fai riferimento tu e che ricordo benissimo io ce l’ho attuale. Noi abbiamo "Il Resto del Carlino", uno dei giornali più importanti d’Italia e d’Emilia in particolare. Ebbene, il mio allenatore Apolloni ed il caporedattore, persona sicuramente di spessore e con una personalità spiccata, Paolo Reggianini, si “odiavano”, se così si può dire. Io ho lasciato che si sfogassero entrambi, perché era giusto così, dopodiché li ho portati a cena e sono diventati amici fraterni. Si telefonano ogni giorno, sembranu ‘ddu ‘nnamurati. Ma perché è così, perché quando c’è il confronto ci si chiarisce sempre. Fermo restando che ognuno rimane delle sue idee per com’è anche giusto, ci mancherebbe altro. Però, dal confronto si riesce a tirare fuori le vere ragioni. Se Apolloni non ride – gli contestava questo – avrà anche i suoi buoni motivi per non farlo. Se lo conosci allora capisci che il suo non ridere ha una logica ed allora lo apprezzi. Il Reggianini, che sembrava un “orco”, ha poi gratificato Apolloni quasi come fosse il Guardiola emiliano, il più bravo tra gli allenatori giovani. Quello che voglio dire è che basta poco per chiarirsi. Perché l’ho fatto? Per la gloria? Certo che no. L’ho fatto affinché la Società per cui lavoro, a cui sono affezionato, con la quale ho un certo rapporto, abbia un futuro migliore. In quella situazione che ti ha riguardato – qui un po’, per la prima volta perché non sono abituato, mi lodo – su che cosa potevo puntare, con i pregi ed i difetti che ho anch’io? Su quell’amore in più che mi derivava dall’essere reggino e dal lavorare per la Reggina. Non c’è dubbio che farlo per la tua città, per la tua squadra del cuore, per la Società per cui lavori, con la squadra con cui hai fatto un percorso di vita quarantennale, ti dà da mettere in campo quel qualcosa in più. Questo è il cosiddetto valore aggiunto che si mette quando si lavora per qualcosa che senti tuo fino al midollo.” Dal punto di vista prettamente professionale, mettendo un attimo da parte il lato affettivo, cosa ti è rimasto dentro della tua esperienza qui, nella tua città? Cos’hai portato a Modena imparato a Reggio? “A Modena ho portato ed ho fatto integralmente tutto quello che facevo a Reggio migliorandolo perché mi sono adeguato ai tempi ed al cambiare del calcio in questi quasi 6 anni. Guai se non fosse stato così. Ti faccio un esempio. Io, qui a Reggio, strimpellavo con il computer ma non oltre. Tanto che una delle cose belle che aveva fatto la Reggina quand’ero qui era l’informatizzazione di tutta le sede. Io, ogni giorno, vedevo passare davanti alla mia stanza tutti i tecnici impegnati in questo lavoro ed un giorno chiesi ad uno di loro quando sarebbe toccato alla mia stanza tanto da avere un pc sulla mia scrivania. Uno di loro mi rispose che nella mia stanza non era previsto e preventivata l’informatizzazione perché tanto io ero anziano. (E qui entrambi scoppiamo a ridere). Questa era soltanto una delle “perle” che, se ci penso, mi fa ancora sorridere. Tra l’altro, a Modena, dovendo anche curare i rapporti con la Stampa, tu sai quanto sia necessario ed indispensabile il computer oggi, non solo ho imparato ad utilizzarlo ma quando mando le email penso spesso a quel tecnico che, mentre istallava il sistema informatico alla Reggina, sai con qualche difficoltà visto la risposta che avrebbe dovuto darmi, mi rispondeva che nella mia stanza non era prevista l’informatizzazione. Questo per dirti che a volte ci sono delle logiche assolutamente fuori luogo e da lì tante altre situazioni umane, ambientali, sportive, che hanno portato al non poter più proseguire.” Nell’estate del 2004 che cosa si è davvero rotto tanto da dover interrompere il percorso di una vita insieme? “Mi conosci e conoscete tutti, credo di avere una dote importantissima: l’onestà. Quella pratica ed intellettuale. Dico sempre che sono nato ricco e nobile per merito di mio padre e di mia madre, morirò certamente povero perché io con i soldi non ho mai fatto nulla di particolare, ma morirò anche nobile senza alcun dubbio. Quindi, questa onestà di uomo con le mani pulite, limpide, ha sempre fatto si che chiunque abbia avuto a che fare con il sottoscritto a livello lavorativo e professionale possa assolutamente dire o raccontare qualche cosa che possa inficiare la mia persona. L’onestà intellettuale, invece, è quella che tu vorresti trasmettere e che puoi e devi trasmettere. Ed allora, se io vado due anni a Catanzaro e non costruisco ma avvio alla professione l’attuale direttore generale che ancora oggi, se ha qualche dubbio, mi chiama la mattina; se a Modena ho formato un altro calabrese di Cariati che già segue il settore giovanile e la sera, quando finisce, si ferma in sede e mi dice “stasera studiamo”. Se tutto questo avviene, allora ti arrabbi, ti amareggi, perché tutto questo lo potevi fare per la tua Società, per la tua città. La cosa più bella è poterti fare ricordare per questo. Io ho un’idea incredibile in testa. Tu sai che, per i miei trascorsi in giro, ho una montagna di ricordi materiali. Dal gagliardetto, alla maglia, al pallone, a dei libri. Io spero, spero. Oggi addirittura la Federazione sta cercando di agevolare l’apertura di musei all’interno degli stadi anche per adeguarsi alla realtà che esiste in molte altre parti del mondo (Spagna ed Inghilterra sono i capostipiti di questa filosofia, n.d.r.). Ecco, io spero di poter fare un museo con i miei ricordi per i giovani di Reggio Calabria, per i ragazzini, ma senza il benché minimo scopo di lucro. Guai se fosse così! (Allora, mio caro Franco, tutto devi fare tranne che darlo in mano a questa Società, n.d.r.). Ecco, tutto questo sarebbe veramente il traguardo finale più bello ed importante per una persona come me che ha sempre agito con la dote dell’onestà materiale ed intellettuale. Mi chiedi, allora, cosa successe affinché il mio contratto non fosse prolungato. Ebbene, nel corso dell’ultimo anno accaddero delle cose inenarrabili. Inenarrabili. Non dirò mai quali furono, cosa accadde, non m’interesserà mai farlo. Tutte cose che contrastavano con i 40 anni precedenti. Io ho fatto quasi sempre buoni contratti in 40 anni perché il rapporto tra la Società ed il sottoscritto era basato sulla fiducia. Negli ultimi anni c’era una normativa che imponeva alcune cose. Devo essere corretto ed onesto fino alla fine e dire che i dirigenti di allora non hanno mai messo alcun freno, alcuna condizione ai miei contratti che io stesso facevo e loro firmavano senza nemmeno guardare per il rapporto di fiducia reciproca che c’era. Per onestà devo dire che la data del 30 di giugno del 2004 l’ho messa io, di mia spontanea volontà, perché tanto per me non cambiava nulla visti i rapporti che c’erano. A quel punto, nell’ultimo anno o anno e mezzo, sono successi fatti inenarrabili. Non lo so chi ha torto o chi ha ragione, non m’interessa manco più ed ormai fanno parte del passato. Ma certamente non è stato individuato, ed era quello a cui ci tenevo di più, nessuno e dico nessuno che potesse far sì che ci fosse continuità nel percorso che avevo iniziato molti anni prima. Una cosa che era assolutamente fondamentale. In sostanza, perché hanno dovuto godere della mia esperienza il Catanzaro ed il Modena e non la Reggina? Questo quesito me lo pongo, certo. Poi, con la tranquillità interiore che mi appartiene, ho sempre detto che il capitolo è chiuso, che il passato è passato e che il corso degli eventi non lo può cambiare nessuno. La storia è quella e nessuno è in grado di cancellarla.” La Reggina resta sempre e comunque il tuo grande amore? “E’ fuor di dubbio. La Reggina è stata la “persona” con la quale ho fatto tutto un percorso di vita. Tu capisci che io ho giocato fino a 17/18 anni poi non ci vedevo più e dopo 3 giorni ero dietro una scrivania. Ho percorso tutte le fasi più importanti della mia vita: ho festeggiato i miei 18 anni, ho festeggiato la laurea, ho festeggiato il matrimonio (nella data condizionato dal campionato). La nascita delle mie figlie. La Reggina testimone di una vita. Pensa che mia moglie mi diceva sempre “la mia grande rivale in amore è la Reggina” perché si sentiva tradita solo dalla Reggina. Adesso chiudi il registratore che ti dico una cosa che non bisogna portare fuori, per dirti fino a che punto siamo arrivati io e la Reggina.” E qui, doverosamente, la bobina cessa di registrare. Franco racconta un fatto estremamente personale e tutti e due – lui nel ricordarlo e noi nel venirne a conoscenza – restiamo basiti, perplessi, trasecolati fino a storcere il naso nauseati al pensiero di che tipo di personaggi ci possano essere in giro (non che non lo sapessimo, sia ben chiaro, i nostri “polli” li conosciamo bene entrambi, ma pensavamo che a tutto ci fosse un limite ed, invece, scopriamo che il limite non c’è)! Ci fermiamo qualche minuto, il tempo di “riprenderci” e poi ripartiamo con la chiacchierata a registratore acceso. Abbiamo parlato dell’evoluzione del calcio, ritieni che questo calcio non sia più uno sport ma altro? “La risposta ce l’hai se guardi le coppe europee. Partiamo dal grande per arrivare al piccolo. Saranno 7/8 anni che noi italiani, in Europa, arriviamo dopo. Molto dopo. Perché? Perché non sappiamo giocare più al calcio. Purtroppo siamo livellati al basso e la qualità è scadente. Abbiamo campionati di serie B inguardabili, con le dovute eccezioni di qualche partita, anche perché non c’è più la vera essenza del calcio.” Parli della B, ed in A c’è invece? “In A ci sono 4/5 squadre che hanno i fuoriclasse, quasi tutti stranieri però. Questi fanno spettacolo. Però se prendi il Chievo o l’Udinese e li fai giocare con una squadra di B penso che non vedrai tutta questa differenza. Tutto questo perché non si cura più come si dovrebbe la scuola calcio, il settore giovanile. Oggi, ai ragazzini, gli parli di diagonali, di 3-5-2, di 4-3-3, di 4-4-2 e di altre cose del genere, ma il pallone non lo fa più nessuno.” Si può tornare indietro o televisioni, sponsor ed i milioni di euro in circolazione la faranno sempre ancor più di padrone? “Vedi, tutte queste cose bisognerebbe sfruttarle. Non c’è dubbio che il ricavato che il calcio assume, che non è più l’incasso al botteghino, ma ciò che arriva dalle televisioni, dal marketing, dalla commercializzazione del prodotto, del marchio, eccetera, lo si dovrebbe sfruttare proprio per questo: per far insegnare il calcio ai ragazzini. Si deve tornare ad insegnare che si deve giocare al calcio lasciando stare diagonali e moduli ed altre cazzate. Ho visto partite delle giovanili in cui gli allenatori imbottiscono i ragazzini di schemi, moduli, alchimie tattiche. E basta! Torniamo a farli giocare al calcio. Io ho un ragazzino di colore, un ghanese che è del ’97 anche se dimostra 18 anni. Questo è il più bravo di tutti, ha una forza fisica ed atletica bestiale come quasi tutti i ragazzi di colore (come Balotelli per esempio), ma non lo fanno giocare perché dicono che non abbia l’età per giocare nella Primavera. Ma per favore, facciamolo divertire intanto e poi dotiamolo di altre qualità oltre a quelle che ha già di suo. Non si può arrivare in serie A e vedere che c’è gente che non sa manco fare un cross.” Perché in Italia omicidi, diffidati, DASPO, scontri cruenti tra tifoserie ed in Inghilterra la partita si guarda senza barriere e divisioni alcune? “Perché come in tutte le cose della vita ci sono le leggi e le regole. Se tu li fai rispettare allora va bene e dappertutto sarà come in Inghilterra. Nel momento in cui ti consentono di fare il furbo, ci sarà sempre qualcuno che si crederà più intelligente di altri e ti creerà problemi.” L’Italia pecora nera nell’applicazione delle leggi? “Certamente. Le leggi sono tutte uguali in ogni Paese. In Italia quando succede qualcosa dopo 3 giorni se fuori bello, libero e beato mentre in Inghilterra nello stadio stesso c’è la camera di sicurezza.” Torniamo a parlare di calcio di casa nostra, il tuo Modena che obiettivi ha? “ll Modena sta vivendo in questo momento un grande momento di affanno dal punto di vista dirigenziale. Una Società, un presidente, che ha avuto grandissimi meriti per più di 10 anni e adesso non ha più voglia di continuare. Si sta cercando di creare un gruppo di imprenditori che possa costruire una nuova Società ancora più valida, più importante, più potente. Nel lasso di tempo necessario a questo passaggio, è chiaro che i programmi sono minimi. Minimi vuol dire la salvezza da raggiungere il prima possibile.” Com’è la Reggina vista da lontano? “La Reggina è una grande squadra perché i nomi ed i cognomi di chi la compone sono quelli. Tedesco, Vigiani, Bonazzoli, Cacia e Brienza sono giocatori che possono stare in A tranquillamente. E’ chiaro che la retrocessione non ha consentito l’adattabilità ad un campionato completamente diverso da quello in cui si giocava fino a maggio scorso. Un campionato, quello di B, non di molta qualità ma che necessita di molta applicazione. Noi abbiamo un allenatore, Apolloni, che non è stato un grandissimo calciatore a livello tecnico eppure è arrivato in Nazionale (faceva parte del grande Parma di Nevio Scala, n.d.r.). Lui dice spesso ai suoi giocatori “se io con i miei mezzi tecnici limitati sono arrivato in Nazionale, anche voi potete e dovete disputare un buon campionato”. Ed i giocatori lo stanno seguendo. A parte Pinardi e Bruno che sono due valori aggiunti, due calciatori fuori media, tutti gli altri stanno seguendo quello che dice l’allenatore e stanno ottenendo dei buoni risultati. Niente di eccezionale però siamo una buona squadra con qualche periodo di sbandamento e speriamo che domani (oggi, n.d.r.) si possa esprimere al meglio. Se il Modena gioca da Modena sarà una bella partita.” E’ la prima volta che, da avversario, affronti la Reggina al “Granillo”. “Non solo sarà la prima volta che l’affronterò al “Granillo”, ma sarà anche la prima volta che metterò piede nel vostro stadio da quel 9 maggio del 2004. Dopo quel Reggina – Milan non solo non ho mai messo più piede lì, ma nemmeno ci sono mai più passato da fuori.” Lasciamo da parte la retorica e le domande scontate, raccontaci le tue emozioni, il tuo stato d’animo nel sederti in quello stadio su una panchina che non sarà quella della Reggina. “Sono un uomo. Sicuramente non posso non mettere in conto le emozioni che vivrò. Ma sono sereno, sono assolutamente sereno per l’aver fatto il mio dovere. Sempre. Sono stato un reggino che ha provato e vissuto grandi emozioni e soddisfazioni per aver lavorato per così tanti anni per la squadra della sua città. Anche nel mondo sportivo, sono sereno per essere stato un reggino autentico in ogni momento e di aver dato sempre tutto quello che potevo.” Si chiude qui la nostra chiacchierata a registratore in movimento, altre cose ce le raccontiamo privatamente e non nascondiamo di sentire la mancanza di un uomo come lui all’interno di una Società che, sarà una coincidenza ?, proprio da quell’estate del 2004, seppur sopravvivendo altri 5 anni in serie A, ha inesorabilmente iniziato il suo declino fino ai giorni nostri. Ricordare che nel 2005 c’è stato il “caso fidejussioni” con tanto di messa in regola in extremis e denuncia dell’allora presidente del Bologna Gazzoni Frascara con procedimento penale annesso ancora in corso; che nel 2006 è stato il turno di “Calciopoli” o “Moggiopoli” che dir si voglia, con ancora un procedimento penale ancora in corso e che dal 2007 è iniziata la “sciagura guida tecnica” con 3 allenatori ogni anno in panchina, fa pensare a “solo” delle coincidenze oppure, come crediamo, alla Reggina manca Franco Jacopino? Giudicate voi. La chiacchierata si conclude dandoci appuntamento ad oggi in sala stampa allorquando Franco accompagnerà Apolloni ed i suoi giocatori, ma non ci lasciamo se non prima entrambi registriamo la presenza fuori di un tifoso “storico” come Giovanni Filloramo (CUCN ’82) e di altri due giovani baldanzosi che, salutandolo con affetto, gli preannunciano uno striscione in suo onore oggi al “Granillo”. A Franco viene il groppone in gola, si schernisce, ringrazia, li abbraccia e dà anche a loro appuntamento a dopo la partita. Vuoi vedere che Foti non lo saluterà? Anzi, chiederà a qualcuno dei suoi che, invece, lo farà se gli davvero sembrava il caso di farlo magari ripetendo quanto detto e fatto in occasione della gara d’andata? Potete togliere i punti interrogativi e sostituirli con quelli esclamativi: siamo sicuri che sarà così! Conoscendo Foti non può che succedere questo a dimostrazione che Uomini si nasce e non lo si diventa e lui, Franco, modestamente, lo nacque!

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Author: Maurizio Gangemi