Ponte sullo Stretto: l’unione tra due “Cosche”

altaltaltaltaltaltGià dal 251 a.C., attraverso narrazioni di Plinio il Vecchio, si hanno prove sull’idea di unione fra le due sponde dello Stretto di Messina (nelle foto alcuni “prima” e “dopo”) per volontà del console Lucio Cecilio Metello, con un ponte fatto di barche e botti per trasbordare dalla Sicilia 140 elefanti catturati ai cartaginesi. Quest’idea di collegare, per svariati motivi, i due lembi di costa è proseguita anche nella seconda metà del 1800, nel dopoguerra, negli anni ’70, ’80 e ’90, per giungere infine ai progetti del secondo millennio. Ma le motivazioni per la realizzazione di quest’ossessione ingegneristica restano da sempre un mistero. L’informazione propinata all’opinione pubblica, dai governi succedutesi nel tempo, ha sempre rimarcato la valenza della costruzione esclusivamente sotto il profilo del progresso strutturale e di viabilità.

Ma solo chi vive in Calabria può realmente constatare quali interventi necessita la regione e quanti servono per foraggiare signorotti locali collusi con la criminalità organizzata. Qualche mese fa i calabresi mossero un’eccezione al ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Altero Matteoli, circa l’urgenza del ripristino della rete autostradale in stallo da tempo immemore. A tale richiesta, il ministro sottolineò la propedeuticità della realizzazione del ponte rispetto al rinnovamento strutturale dell’A3 Salerno-Reggio Calabria. E’ come dire costruiamo un grattacielo iniziando dall’attico. Il 19 dicembre scorso in 22 mila (4 mila per la Questura), provenienti da tutta Italia, hanno sfilato per le vie di Cannitello e Villa San Giovanni, per gridare un chiaro NO alla costruzione di una megastruttura che presenta diverse falle da qualsiasi punto di vista la si analizzi. Economica, ingegneristica e ambientale. In questa fase di eccezionale recessione con l’economia capitalista che versa in stato comatoso, di certo il ricorso alla spesa pubblica rappresenterebbe una boccata d’ossigeno in funzione anticiclica. Sembrerebbe certo una soluzione, come dicono politici di destra e sinistra, con più lavoro e col decollo industriale del sud. Peccato che il famoso ponte rappresenterà una vera unione tra due “cosche”. Un progetto da 6,3 miliardi di euro dedicato alla realizzazione di 3,3 Km di ponte sospeso, 12 Km di rete ferroviaria e 15 Km di rete stradale. Una manna dal cielo per imprese a rischio di infiltrazioni mafiose. Anche da un punto di vista occupazionale ci sarà una forte impennata, nella fase costruttiva, seguita da una peggiore ricaduta. Inoltre, l’apertura dei cantieri, avvenuta formalmente il 23 dicembre scorso con la posa della prima pietra a Cannitello, presenta anch’essa punti interrogativi. Con questa “firma” sul cemento si rende operativa una clausola del contratto tra la società  “Stretto di Messina” e il General Contractor capeggiato da Impregilo (società incaricata di realizzare ed eseguire il progetto definitivo di costruzione del ponte), che consente, in tal modo, al General Contractor di chiedere come penale, in caso di mancata realizzazione del ponte, il 10% del valore dell’intera opera. Sarebbe a dire, se lo Stato dovesse rinunciare alla realizzazione del ponte, si troverebbe a dover “risarcire” una cifra che oscilla tra i 390 e 630 milioni di euro. Questo perché nella Finanziaria del 2010 in discussione al Parlamento, il Governo ha inserito un emendamento che consente di avviare i cantieri di singoli lotti, delle grandi opere previste nelle reti transeuropee, anche se si possiede appena il 10-20% della copertura finanziaria dell’intero valore dell’opera. La realizzazione della megastruttura alimenterebbe anche l’intreccio fra grandi attori industriali e finanziari attraverso il complesso di espropri, appalti e subappalti che ricadono su larga parte della zona costiera calabro-sicula. Certo è, altra ipotesi, che potremmo trovarci di fronte ad un’ennesima cattedrale nel deserto. Come il caso della Liquichimica a Saline Joniche, uno stabilimento di bioproteine sintetiche che ancora oggi sorge davanti al Mar Jonio. Progetti come la Sir (Società Italiana Resine) di Lamezia Terme,  il quinto Centro Siderurgico nella Piana di Gioia Tauro e lo stabilimento dell’Egam nella Piana di Sibari. Tutti previsti nel famoso “pacchetto Colombo” (esponente della Dc e presidente del Consiglio dei Ministri nel biennio 1970-1972), che prevedeva questi emblematici monumenti del supposto piano di sviluppo economico varato dal Governo per la Calabria, e che invece hanno rappresentato la Cassa integrazione per oltre 15.000 operai rimasti inoccupati. Al pari di queste grandi opere, la realizzazione del ponte sullo Stretto avrà un notevole impatto ambientale con annessi rischi elevati per cose e persone. Il territorio reggino e messinese, orograficamente e morfologicamente, presenta seri punti deboli per ciò che attiene eventi sismici e dissesti idrogeologici. E proprio quest’ultimi, nei mesi scorsi, sono stati protagonisti nefasti a Giampieliri, nel messinese, e in varie zone della Calabria. A ciò si aggiunge la faglia sottomarina nei fondali dello stretto di Messina, fortemente instabile, che separa la Sicilia dal continente europeo. Non esiste tutt’ora una certezza assoluta di stabilità di una struttura come il ponte sullo stretto a fronte di un’incalcolabile magnitudo dei movimenti tellurici. Anche dal punto di vista specificamente ambientale, una vasta area verrebbe cementificata con evidenti riflessi negativi sulla biodiversità dell’ecosistema terrestre e marino. In ultimo, per ciò che attiene la fase di sviluppo e progresso del sud tanto decantata dalla classe politica in riferimento alla costruzione dell’opera, la Calabria necessita, in realtà, di un’urgente riorganizzazione della rete stradale (se si considera che a causa dell’assetto attuale il bollettino parla di migliaia di decessi l’anno), ad iniziare dall’A3 e proseguire con le diverse strade statali che costeggiano la regione dal tirreno allo jonio. Servirebbe, oltremodo, un efficiente collegamento marittimo tra le due coste (attualmente sono operativi 2 aliscafi per migliaia tra lavoratori e studenti), un adeguata e moderna rete ferroviaria, essendo ancora presenti per i collegamenti all’interno della regione, le famose “littorine” create nel ventennio fascista. E per concludere, la Calabria necessita anche di una rete idrica efficiente e, soprattutto, la possibilità per gli abitanti di avere in casa l’acqua potabile. Allo stato attuale, infatti, a causa dell’elevata presenza nell’acqua di grosse quantità di calcare e sale, è in grado persino di danneggiare frigoriferi, lavatrici, condizionatori e quant’altro. Non a caso, uno dei principali slogan urlato a più riprese dai manifestanti durante il corteo del 19 dicembre scorso, evidenziava in tutta la sua eloquenza, l’assenza per Calabria e Sicilia di una base primaria e vitale del progresso. “Vogliamo l’acqua dal rubinetto, ce ne fottiamo del Ponte sullo Stretto”.

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Author: Maurizio Gangemi