Da Luigi Pandolfi (nella foto, luigipandolfi.it) riceviamo e pubblichiamo. Qualunque cosa dirà o farà la Lega a Pontida sarà fuori tempo massimo. La percezione che si ha è che il gioco dei paradossi e delle capriole cui il Carroccio ci ha abituati in questi anni sia ormai tanto logoro, abusato, da non poter più sortire effetti rigeneranti. La crisi che sta scuotendo gli uomini in camicia verde è solo per una parte imputabile ai fallimenti del premier, alla sua caduta come leader immaginifico di un centrodestra in disfacimento. No. Se la Lega ha da recriminare qualcosa, lo faccia innanzitutto verso se stessa, avendo riguardo ai tanti e reiterati inganni che ha servito ad una fetta non trascurabile dell’elettorato del nord in questi anni.
La forza con cui hanno spinto per l’approvazione dei decreti attuativi del cosiddetto federalismo fiscale testimonia, più di ogni altra cosa, che dalle loro parti il ragionamento, fino alle amministrative, era questo: Berlusconi è entrato in una fase calante, ma ciò che il Pdl perderà in termini di consenso lo recupereremo noi potendo esibire come prova della nostra affidabilità l’approvazione della riforma federalista ed i risultati ottenuti in tema di sicurezza e di immigrazione. Non è stato così. Proprio in quelli che potremmo definire i suoi insediamenti più profondi, sia la retorica federalista che quella rigorista sull’immigrazione e l’ordine pubblico non hanno sortito alcun effetto in termini di catalizzazione e di moltiplicazione del consenso. Pensavano insomma che fosse giunto il momento di incassare il dividendo del federalismo fiscale e quello derivante dai prodigi di Maroni ma si sono ritrovati con un pugno di mosche. Se l’obiettivo del federalismo è stato in fin dei conti l’unica e vera ragione sociale, o ragion d’essere, del movimento in questi anni, e il suo conseguimento, al di là di ogni plausibile considerazione di merito sugli effetti che a regime potrebbe avere, non ha avuto alcuna ricaduta significativa, apprezzabile, in termini di suffragi elettorali, se mai proprio il contrario, cosa ci si dovrebbe inventare ora per ristabilire un nuovo rapporto fiduciario con chi ha deciso di girare le spalle ed imboccare altre strade? Qualsiasi altra provocazione padano – difensiva o padano – celebrativa rischia, a questo punto, di rimanere tale. Una provocazione, appunto. La verità è che la lega sta pagando, più che per le colpe del capo del governo, per la sua proverbiale incoerenza. Quella, per esempio, che l’ha vista in questi anni gridare contro Roma, mentre a rappresentare Roma, nel senso di amministrazione centrale dello Strato, c’erano proprio loro, sebbene con le loro cravatte e pochette verdi. Loro nei dicasteri chiave del governo, loro nei posti di sottogoverno, nella giungla dei consigli d’amministrazione delle società partecipate. Per dimostrare la propria diversità, la propria capacità di portare a casa risultati, la Lega ha avuto a disposizione molti anni. Oserei dire troppi. Il saldo di quasi vent’anni di protagonismo nella vita politica italiana è però assolutamente negativo. Di bravate e provocazioni ne ricordiamo tante, anche di inqualificabili campagne propagandistiche che l’hanno avvicinata molto ai profili delle più impresentabili formazioni xenofobe e razziste del continente, più difficilmente riusciamo ad elencare invece i suoi meriti in tema di rinnovamento dei costumi della politica e di riforma delle strutture del sistema politico-istituzionale italiano, per non parlare di fisco, economia e della stessa difesa di quegli interessi territoriali su cui si è costruita la missione e l’immaginario identificante del movimento nell’arco di un ventennio. Pontida, allora. Potranno alzare i toni ed il prezzo della loro partecipazione alla maggioranza di governo; potranno anche sfilarsi dal governo, ma né l’una né l’altra opzione potrà ribaltare la situazione che li vede attualmente in affanno nel rapporto con il tradizionale elettorato di riferimento. Ripartire dal prato di Pontida mai come questa volta potrebbe significare una ripartenza dal nulla.