Chiacchiere tra Direttori: Salvatore Todaro (italiapost.info) incontra Maurizio Gangemi (ilreggino.news)

(026) di Salvatore Todaro*. Ho voluto completare la serie di circa 50 interviste della domenica – realizzate in ciascuna delle domeniche di questo 2013 – con Maurizio Gangemi, che considero simbolo della libertà di stampa e di pensiero in questo Paese. Maurizio è un collega giornalista, direttore della testata calabrese “Il Reggino”, e figlio di Francesco Gangemi, che – come accaduto a Sallusti e come accade regolarmente in Ucraina, Birmania o Arabia Saudita – è stato arrestato per avere soltanto espresso delle opinioni.

 

Con Maurizio ci siamo conosciuti proprio in occasione della battaglia per la liberazione di suo padre, alla quale altri direttori – come lo stesso Sallusti e anche Maurizio Belpietro, ma pure Iacopino, Pirovano e Gallizzi dell’Ordine dei Giornalisti – si sono uniti, e che alla fine abbiamo vinto. La cosa che fa più ribrezzo è che suo padre Francesco, a 79 anni di età, è finito in galera per avere rivelato – ma non volendo esplicitare le proprie fonti – connivenze tra il mondo della ‘ndrangheta e quello della magistratura. Tutto è bene quel che finisce bene, ma i casi Sallusti e Gangemi ci hanno fatto scivolare al cinquantasettesimo posto del mondo per “libertà di stampa” e hanno convinto i nostri lenti politici ad approvare almeno alla Camera un testo che – se definitivamente approvato in Senato – darà delle garanzie in più a chi svolge un mestiere delicato come il nostro. Maurizio, il 2013 è stato un anno difficile per te… Ma è stato per certi versi positivo, perché, grazie a quello ch’è successo a mio padre, oggi ci ritroviamo qui a discutere della libertà di stampa e a cercare di far passare questa legge che punirebbe con il carcere solo la diffamazione fatta per malafede o per pura invenzione di un fatto, non per altre ragioni. Come nel caso di mio padre, poi assolto, che non voleva, semplicemente, rivelare le proprie fonti… roba da Terzo Mondo. Questa è una battaglia di libertà: i giornalisti hanno bisogno di sapere che non finiranno in galera, se porteranno avanti le proprie battaglie in piena coscienza. Esatto. E la legge che vogliamo approvino punisce inoltre i cosiddetti “querelanti temerari”, cioè quei protagonisti della vita pubblica che querelano i giornalisti per partito preso, senz’averne uno straccio di motivo. Basta con tutta questa gente che vuole continuamente venire risarcita da noi. Devono essere puniti soltanto la malafede del giornalista, o l’invenzione “di fantasia” del giornalista: non certo i toni, né l’uso di aggettivi che appartengono allo stile di ciascuno di noi, giusto o sbagliato, educato o ineducato, ma non certo meritevole di causare la galera! E proprio i tuoi toni mi hanno colpito durante quella battaglia che abbiamo combattuto insieme: continuavi a ripetere che non ti battevi per tuo papà, ma per tutti quelli che in futuro avrebbero potuto ritrovarsi al suo posto. Certo. Guarda, io ho scelto di fare il giornalista per diversi motivi nella mia vita: sicuramente perché sono cresciuto a pane e giornalismo, proprio per la presenza di mio padre; sicuramente perché scrivere appaga la mia mente, mi distrae dal mio secondo lavoro – che è quello di impiegato; ma il motivo più importante è che il giornalismo, senza ombra di dubbio, serve a scuotere le coscienze. Ebbene: io voglio scuotere le coscienze attraverso il mio lavoro. Quando “ho raccontato la notizia” di mio padre, il mio primo pensiero è stato quello di scuotere le coscienze su questo tema. Entrando per un attimo nel merito di ciò su cui ha indagato tuo padre, beh… c’è da rabbrividire. Magistratura corrotta, colletti bianchi corrotti, e tutta quella mafia che non si vede: un giornalista non può stare in silenzio di fronte a queste cose. Quando le denuncia, non sempre può pensare a come difendersi davanti a un giudice: perché in quel momento, nel momento in cui vieni a conoscenza della verità, tu vuoi subito raccontarla – incurante dei rischi. Come fare a non dire ai nostri lettori di quei giudici che prendevano mazzette dalla mafia, di quei magistrati, di quei colletti bianchi… Ed è anche per questo che oggi ho scelto d’intervistarti. Per parlare di ‘ndrangheta. Per smuovere le coscienze insieme a te, in questa ultima domenica dell’anno. La ‘ndrangheta è ovunque. Se prima era frutto del malcontento popolare, oggi è ormai un’organizzazione strutturata – in partnership con lo Stato. La trovi fra i commercialisti, fra i medici, fra gli avvocati e nei palazzi di Giustizia. La trovi nei palazzi che contano. E’ come se fosse una banca in più – che agisce in tempi di crisi con ancor più disinvoltura, perché appunto agisce in alto, oramai. Osserva il paradosso: hai parlato di un’evoluzione in senso negativo della ‘ndrangheta. Pensavo potessimo parlare di “un fenomeno ancora difficile da sconfiggere”… non di un fenomeno invece in crescita…! Stiamo proprio seguendo il trend sbagliato. Sì, e mi fanno ridere quando catturano i super latitanti e danno le super notizie. Perché sono solo vittorie di Pirro: in realtà il fenomeno è in evoluzione. Se persino i giudici – tengo a sottolinearlo – hanno connivenze con la mafia, come possiamo pensare di sconfiggerla? Se persino quelli che dovrebbero sconfiggerla insieme a noi, finiscono a volte per essere scoperti dalla loro parte… Si chiude un 2013 dunque bruttissimo in questo senso. Prima i deboli, poi le armi, quindi la droga, fino ad arrivare alle scorie radioattive, alle navi dei veleni… la ‘ndrangheta oggi è quella che abbiamo sin qui descritto, e la crisi l’aiuta… perché tutti hanno bisogno d’aiuto e lei, un po’ come le banche, è in prima fila per offrirlo… Si chiude il 2013 della crisi… Sì, e sono molto sfiduciato di fronte a questa Italia. Ci raccontano che la guerra sia tra la destra e la sinistra, ma in realtà questo è il modo con cui la destra e la sinistra ci distraggono e, insieme, tengono saldamente in mano le fila del potere. Le larghe intese sono lo zimbello dell’Europa, che ormai sa di poter fare di noi ciò che vuole…! Peccato per la decadenza di Berlusconi, peccato per il fatto che i grillini si siano tarpati le ali da soli, beh: siamo proprio messi male. Il giornalismo spesso diventa complice. Hai detto bene direttore. Non ho difficoltà a dire che, in questi giorni, provo disgusto di fronte al TG5 che parla di cene di Capodanno in frac, o di roba del genere… che non interessa al 95% della popolazione, che sta soffrendo. Vogliono distrarci. Ci sono notizie fatte ad arte. Quel che consiglio (e che da lettore faccio) è leggere la firma prima di cominciare a leggere l’articolo: sono pochi i giornalisti coscienziosi, che vogliono scuotere le coscienze…! Da meridionale come hai vissuto la protesta dei Forconi? Bene, anche perché sono convinto che l’unica chiave per cambiare le cose sia una rivoluzione civile come quella liberale inglese, come quella che s’ispira ai Tea Party. Peccato che i Forconi siano poco organizzati in questo momento, e siano capaci soltanto di bloccare l’economia della gente che lavora… ma se si organizzano per bene, possono andare a colpire – senza violenza – chi va colpito. Non mi piace la dietrologia nei confronti di questo vero movimento di popolo. Hai parlato di una chiave: dunque la speranza c’è? Sì, e ancor prima dei Forconi- la speranza sta nella presa di coscienza, sta nella cultura. Bisogna dire alla gente che le tasse sono un dovere, certo… ma che in cambio abbiamo il diritto di ricevere dei servizi, altrimenti non le paghiamo. Al netto di un’Italia che va così male, al netto di un’Italia in cui la criminalità organizzata è così forte, ben strutturata e diffusa ovunque (non solo la ‘ndrangheta, ovviamente, ma pure tutti gli altri tipi di mafia), ebbene: al netto di tutto questo, è vergognoso che esista ancora una questione meridionale in questo Paese. Queste differenze abissali sono vergognose, e non si risolvono donando soldi al sud. Ma si risolverebbero prendendo per mano i nostri giovani… ma l’Italia non vuole farlo, non è in grado di farlo, non sa farlo. Ecco perché i giovani onesti vanno via, mentre quelli meno coscienti vengono “aiutati” dalle mafie. Servono persone come tuo padre, e forse come noi due, che s’impegnino giorno per giorno. Eppure, a un padre di famiglia, come fai a dire o scrivere di non pagare il pizzo – quando magari lui rischia poi di ritrovarsi col negozio bruciato e il figlio “in mezzo a una strada”…? E’ chiaro. I Don Chisciotte lotteranno solo e sempre contro i mulini a vento. E’ necessario che i nostri sforzi siano indirizzati soprattutto nei confronti della classe dirigente, lo Stato deve proteggere le persone – punto numero 1 – e lo Stato deve farci uscire da questa situazione di crisi – punto numero 2. Si riparta poi dalla famiglia, dalla scuola, e dal rispetto della Costituzione. Sei favorevole o contrario al ponte di Messina? Contrario. Rovinerebbe il paesaggio, e non creerebbe poi chissà quale volano per l’economia… direi che in Sicilia e in Calabria – e te lo dico col cuore – abbiamo bisogno di altro. Che cosa consigli ai giovani che ti leggono su Italia Post? Guai arrendersi. Anche quando sembra che le cose non si risolveranno mai, abbiamo il dovere di fidarci, osare, lasciare tutto, partire, rischiare, essere imprenditori di noi stessi. Non assuefacciamoci a tutto ciò che succede, anche s’è oggettivamente brutto quel che succede. Invitandoti a salutare tuo papà da parte di tutti noi, ti faccio l’ultima domanda: qual è la notizia che vorresti leggere nel 2014? Nell’anno nuovo, che comincerò rifiutandomi di guardare il discorso di fine anno del presidente Napolitano, vorrei che l’Italia diventasse più giusta, e più equa. La strada è molto difficile – anche alla luce di problemi annosi come la mafia e le differenze nord-sud, che dobbiamo prima o poi cominciare a risolvere. *Direttore di italiapost.info.

 

 

 

 

http://www.italiapost.info/103987-gangemi-su-ip-mai-piu-giornalisti-arrestati-battiamo-la-mafia-e-la-deriva-dellitalia/

 

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Author: Maurizio Gangemi