Reggio di Calabria: D.I.A, S.C.I.C.O. e Guardia di Finanza, operazione “Energie pulite”. Sequestrati ben per un milione ad imprenditore (video) – IL REGGINO

(144) Personale della Direzione Investigativa Antimafia,  Militari dello  S.C.I.C.O. di Roma e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, con il coordinamento della Procura Nazionale Antimafia Continue reading “Reggio di Calabria: D.I.A, S.C.I.C.O. e Guardia di Finanza, operazione “Energie pulite”. Sequestrati ben per un milione ad imprenditore (video) – IL REGGINO”

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Roma: Guardia di Finanza, operazione “Corolla”. sequestrati beni per oltre 40 milioni ad imprenditore “fiscalmente pericoloso” (video) – IL REGGINO

(143) Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno eseguito il decreto di sequestro emesso, su richiesta della Procura della Repubblica capitolina, dal locale Tribunale – Sezione Specializzata Misure di Prevenzione nei confronti di Fabrizio AMORE (classe 1957), avente ad oggetto un ingente patrimonio del valore di oltre 40 milioni di euro.

L’imprenditore romano, attivo nel settore delle costruzioni, è stato coinvolto in varie vicende giudiziarie (relative anche ad appalti pubblici) e arrestato, nel 2015, per associazione per delinquere, reati tributari, turbata libertà degli incanti e truffa ai danni dello Stato.

Prendendo le mosse dall’esame degli atti dei diversi procedimenti penali, gli specialisti del GICO del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma hanno individuato il metodo utilizzato, per circa venti anni, da AMORE per procurarsi profitti illeciti, poi reimpiegati in acquisizioni patrimoniali riferibili a società utilizzate come “schermo giuridico” e intestate a compiacenti “prestanome”.

In particolare, l’imprenditore ha costituito e gestito una complessa galassia societaria, la cui riconducibilità all’effettivo dominus delle imprese italiane era ostacolata dall’interposizione fittizia di soggetti giuridici ubicati all’estero (tra l’altro, nelle Isole Vergini Britanniche, a Panama, in Lussemburgo e in Svizzera) al fine di far confluire su conti correnti oltre confine rilevanti disponibilità finanziarie frutto delle frodi fiscali e bancarotte poste in essere in Italia.

Tali precedenti hanno consentito di inquadrare AMORE tra i soggetti “socialmente pericolosi” ai sensi del c.d. Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011) e i conseguenti approfondimenti economico-finanziari hanno permesso di ricostruire le ricchezze nella sua disponibilità, assolutamente sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati – costituite da oltre 430 unità immobiliari tra appartamenti, garage, fabbricati commerciali e terreni, ubicati a Roma, Pomezia, Rieti, Olbia e Porto Cervo – che sono state, pertanto, sottoposte a sequestro.

L’odierna attività testimonia il costante impegno della Procura della Repubblica, del Tribunale e della Guardia di Finanza di Roma nell’aggressione ai beni accumulati con i proventi delle attività illecite.

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Messina: Guardia di Finanza, individuati 260 indebiti percettori di “buoni spesa” (video) – IL REGGINO

(142) I Finanzieri del Comando Provinciale di Messina, nell’ambito dell’attività di polizia economica e finanziaria tesa alla vigilanza ed alla tutela del bilancio dello Stato, della Regione e degli Enti pubblici, hanno rilevato una serie di irregolarità nelle istanze presentate da parte di 260 richiedenti il c.d. “Buono Spesa” e altri benefici economici, quali “Sostegno alle locazioni” e “Buono baby sitting”, residenti a Messina e in tutta la provincia.

L’attività ispettiva ha evidenziato come i responsabili, sulla scorta dei modelli di autocertificazione redatti dallo Stato o dai Comuni, avessero sottoscritto l’istanza di accesso all’intervento socio-assistenziale e le relative dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, sostenendo di trovarsi nelle condizioni previste ed elencate negli appositi avvisi pubblici.

Di contro, gli accertamenti posti in essere dalle Fiamme Gialle in tutta la provincia, che hanno preso in esame i dati autocertificati nelle richieste di erogazione dei contributi economici presentate e che, allo stato, ha riguardato circa 3.000 istanze da inizio pandemia, hanno evidenziato che diversi nuclei familiari percepivano forme di sostegno economico tra loro incompatibili, ovvero avessero indicato dati falsi o omesso informazioni dovute. Sulla scorta delle informazioni acquisite, pertanto, numerose autocertificazioni risultavano prive dei requisiti previsti nei relativi avvisi pubblici.

Di qui l’emersione dei 260 indebiti percettori, di cui 40 venivano segnalati alle Procure della Repubblica di Messina, Barcellona Pozzo di Gotto e Patti, per il reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato e falso in atto pubblico, mentre i rimanenti 220 soggetti venivano segnalati alle competenti Autorità per l’irrogazione delle previste sanzioni amministrative.

In tale contesto, veniva parallelamente avviata anche l’azione amministrativa per il recupero delle somme già erogate, per oltre € 37.000,00, su un totale di contributi allo stato controllati pari a circa € 150.000,00, nonché inviata apposita segnalazione agli Enti erogatori per la decadenza dall’ammissione ai benefici richiesti.

L’attività di servizio odierna conferma il ruolo di polizia economico-finanziaria affidato al Corpo della Guardia di Finanza, a contrasto delle condotte tenute da coloro i quali, accedendo indebitamente a prestazioni assistenziali erogate dallo Stato, sottraggono importanti risorse economiche destinate a favore di persone e famiglie che si trovano effettivamente in condizioni di disagio.

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Catania: Procura della Repubblica, D.D.A. e Guardia di Finanza, operazione Prison dealer (video) – IL REGGINO

(141) Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate da questa Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, i Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania, con la collaborazione e il supporto del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia penitenziaria, hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania nei confronti di 16 soggetti, sottoposti a indagine, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanza stupefacente nel carcere di Augusta – Brucoli, oltre che per associazione per delinquere finalizzata all’indebito procacciamento di apparati telefonici per i detenuti della stessa casa circondariale e, infine, per corruzione di pubblici ufficiali per atti contrari ai doveri di ufficio.

Nel dettaglio, l’attività d’indagine, svolta dai finanzieri del Nucleo PEF di Catania – Gruppo Tutela Economia, in stretto collegamento con il Comando della Polizia Penitenziaria in servizio presso lo stesso Istituto penitenziario di Augusta, ha consentito di fare luce su una ramificata organizzazione criminale attiva tra Catania e Augusta, finalizzata al reperimento e allo spaccio di sostanza stupefacente di varia tipologia (cocaina, marijuana, hashish e skunk) tra i detenuti del predetto istituto di pena, oltre all’illecita immissione e consegna, a favore degli stessi soggetti reclusi, di telefoni cellulari e apparecchi per la comunicazione.

In particolare, le investigazioni, iniziate a settembre del 2020, hanno permesso di:

– appurare, in primo luogo, che l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti è stata promossa da due soggetti detenuti nel carcere di Augusta, Dario Giuseppe MUNTONE e Luciano RICCIARDI, i quali, attraverso telefoni cellulari illegalmente introdotti nella casa circondariale, hanno diretto le attività dei sodali all’esterno – volte al reperimento, al deposito e al trasporto di diverse tipologie di sostanza stupefacente – oltre che provveduto a organizzare la materiale, illecita introduzione delle sostanze in carcere e a gestire la cassa comune dell’associazione criminale;

– individuare, all’esterno della casa circondariale, gli altri partecipi dell’associazione, i quali hanno organizzato un articolato e ben definito sistema per acquistare, nascondere, confezionare, trasportare e infine introdurre in carcere lo stupefacente e gli apparati di comunicazione.

In particolare, Michael CUSMANO si è attivato per l’acquisto, presso alcuni fornitori (Santo RIOLO e Michael SANFILIPPO) delle partite di stupefacente, che poi veniva custodito e confezionato in dosi, pronte per lo smercio, da Rosaria BUDA.

Acquistato lo stupefacente, Michele PEDONE – Sovrintendente della Polizia penitenziaria, in servizio presso il carcere di Augusta – aveva il compito, dietro compenso, del trasporto e dell’introduzione della droga nella stessa casa circondariale mentre Giovanna BUDA ha garantito, d’intesa con i predetti sodali, il costante approvvigionamento di telefoni cellulari e SIM card, oltre che i relativi accessori, per la successiva introduzione in carcere, sempre a cura dello stesso PEDONE. A tale riguardo, poiché le indagini hanno evidenziato che PEDONE, nell’esercizio della sua funzione di pubblico ufficiale, ha ricevuto somme di denaro per il trasporto e l’illecita introduzione della droga e degli apparecchi telefonici nel carcere di Augusta, a lui – e tutti i menzionati appartenenti all’associazione criminale quali corruttori – è stato contestato il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio. Lo stesso PEDONE – individuato anche grazie al contributo fornito dal gruppo di comando del carcere di Augusta – godeva all’interno dell’istituto di connivenze e coperture sulle quali sono in corso ulteriori accertamenti.

Una volta introdotti in carcere i diversi quantitativi di stupefacente – sono state acquisite evidenze di 5 consegne di droga – i citati MUNTONE e RICCIARDI hanno provveduto a cederlo, dietro pagamento, ad altri reclusi (Sebastiano MUREMI, Simone SAPIENZA, Giuseppe GENESIO, Fabiano SCATTAMAGLIA, Eros MILONE, Francesco MACCARRONE e Francesco FERLITO), i quali, a loro volta, lo hanno rivenduto ad altri detenuti.

In esito alla complessa e articolata attività di indagine del Nucleo PEF della Guardia di finanza di Catania, il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale, su proposta di questo Ufficio, ha pertanto emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 16 soggetti – sottoposti a indagine, a vario titolo, per associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio

di sostanza stupefacente nel carcere di Augusta e associazione per delinquerefinalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali e all’indebito procacciamento di apparati telefonici per i detenuti della stessa casa circondariale – per come di seguito specificato:

custodia cautelare in carcere: BUDA Giovanna, nata a Catania l’11/12/1989; BUDA Rosaria, nata a Catania il 02/11/1984; MUNTONE Dario Giuseppe, nato a Catania il 03/09/1985; PEDONE Michele, nato a Taranto il 16/09/1970; RICCIARDI Luciano, nato a Catania il 06/03/1990; BUREMI Sebastiano, nato a Lentini (SR) il 19/06/1994; CASTRO Piero Orazio, nato a Catania il 23/02/1993; FERLITO Francesco, nato a Catania il 16/07/1978; GENESIO Giuseppe, nato ad Avola (SR) il 23/06/1988; MACCARRONE Francesco, nato a Catania il 03/07/1973; MILONE Eros, nato a Lentini (SR) il 03/11/1998; RIOLO Santo, nato a Catania il 15/02/1982; SANFILIPPO Michael, nato a Catania il 12/10/1999; SAPIENZA Simone Alfio, nato a Militello in Val di Catania il 17/101998; SCATTAMAGNA Fabiano, nato a Siracusa il 24/07/2000;

–  arresti domiciliari: CUSMANO Michael, nato a Catania il 9 ottobre 2001.

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Roma: Guardia di Finanza e Polizia di Stato, operazione “Sherwood”. Truffe nel settore delle compravendite immobiliari, 13 arresti (video)

(18) Personale del Comando Provinciale della Guardia di Finanza e della Questura di Roma hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del locale Tribunale, su richiesta della Procura delle Repubblica capitolina, nei confronti di 13 persone, appartenenti a due distinte associazioni per delinquere dedite alla commissione di reati di truffa, possesso e fabbricazione di documenti falsi nonché sostituzione di persona ai danni di istituti di credito e ignari cittadini mediante fittizie compravendite immobiliari e illecite richieste di finanziamento.

Le indagini, svolte congiuntamente dalle Sezioni di Polizia Giudiziaria – aliquote Guardia di Finanza e Polizia di Stato – e dal Gruppo Tutela Mercato Beni e Servizi del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma, sono scaturite dalle denunce presentate da alcuni proprietari di immobili, casualmente venuti a conoscenza della vendita (a loro insaputa) delle rispettive proprietà, e da direttori di varie banche, allarmati dagli insoluti delle rate di rimborso dei prestiti erogati a soggetti resisi improvvisamente irreperibili.

Pur variando gli enti creditizi, il modus operandi era comune e ben definito. Dopo l’individuazione di immobili realmente in vendita nella Capitale, i membri della gang ingaggiavano “figuranti” che, muniti di documenti falsi e utenze telefoniche intestate a soggetti inesistenti, si sostituivano al reale proprietario per stipulare “regolari” contratti di compravendita dinanzi a notai, anch’essi all’oscuro dell’attività̀ criminosa, e conseguenti atti di concessione di mutui a nome di – altrettanto fittizi – acquirenti. Ottenuto l’accredito della somma su un conto corrente acceso a nome del “finto” venditore, il denaro veniva prelevato pochi giorni dopo l’atto di vendita.

Tra la fine del 2018 e la prima metà del 2020, gli investigatori hanno ricostruito cinque episodi per un totale di oltre 600.000 euro di somme richieste, di cui due portati a compimento, uno interrotto con l’arresto in flagranza di 5 persone e i restanti due non conclusi per il diniego dell’erogazione del mutuo da parte delle banche.

Il G.I.P. ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 soggetti al vertice delle due organizzazioni, che agivano in modo autonomo, una nella zona est e l’altra nella zona ovest della Capitale.

Per 8 persone, che, a vario titolo, hanno preso parte alle varie truffe perpetrate e hanno fornito i documenti d’identità e fiscali contraffatti, sono stati disposti gli arresti domiciliari.

L’operazione odierna rientra nell’alveo delle attività svolte dalla Procura della Repubblica, dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato di Roma a tutela dei cittadini contro le condotte fraudolente che possono arrecare gravi danni ai loro patrimoni.

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Savona: Guardia di Finanza, arrestate 3 O.S.S. per maltrattamenti presso una RSA di Varazze

(16) Militari del Comando Provinciale Guardia di Finanza di Savona, in data odierna hanno dato esecuzione a tre ordinanze di custodia cautelare (arresti domiciliari) emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Savona, nei confronti di altrettante operatrici socio sanitarie in servizio presso una R.S.A. di Varazze.

I reati contestati alle tre donne arrestate dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico- Finanziaria di Savona, tutte italiane di 48, 58 e 64 anni, riguardano diversi episodi di violenza e maltrattamenti nei confronti di più ospiti della struttura.

I provvedimenti restrittivi sono stati disposti al termine di una complessa indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Savona – P.M. Dr.ssa Chiara Venturi, e durata alcuni mesi, durante la quale sono stati documentati numerosi e reiterati episodi di violenze fisiche e verbali.

Dall’attività investigativa svolta, sono emersi bruschi strattonamenti dei pazienti durante le operazioni di pulizia personale e cambio degli abiti, fino ad arrivare a veri e propri schiaffi, accompagnati da insulti, minacce e imprecazioni proferiti dalle tre operatrici, cui corrispondono grida di dolore, pianti e implorazioni delle vittime.

Molto spesso, durante l’orario di lavoro, gli anziani pazienti erano lasciati incustoditi, senza che venissero soddisfatte le loro reiterate richieste di assistenza, attivate dagli ospiti anche attraverso i campanelli posti nelle vicinanze dei letti.

Gli inermi anziani venivano anche minacciati di essere lasciati senza i pasti, fino al rischio di essere legati al letto e percossi, solo per aver “disturbato” le operatrici con le loro richieste di assistenza, peraltro più che legittime e pienamente rientranti nei doveri lavorativi delle tre arrestate.

Le condotte contestate alle arrestate sono di assoluta gravità e durezza, prive dei più elementari sentimenti di umana compassione. Comportamenti per i quali l’A.G. ha contestato altresì

l’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera e della minorata difesa delle vittime, molte delle quali non autonome a causa delle infermità che le affliggono.

Contestualmente all’esecuzione delle misure cautelari, oltre ai locali della R.S.A., sono in corso, altresì, le perquisizioni delle abitazioni in Genova, Varazze e Savona delle tre operatrici, per ricercare ulteriori elementi di prova ed acquisire le cartelle cliniche di alcuni ospiti della struttura, anche in previsione di possibili ulteriori sviluppi investigativi.

L’attività svolta testimonia, ancora una volta, il forte impegno degli uomini del Comando Provinciale di Savona a difesa delle fasce più deboli della società, soprattutto in un periodo come quello attuale, in cui l’emergenza epidemiologica ha spesso posto in evidenza la necessità di tutelare e salvaguardare coloro che non sono in grado di provvedere autonomamente a sé stessi.

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Reggio di Calabria: Guardia di Finanza, operazione “Magma”. Estradato dall’Albania Ardjan Cekini, tratto in arresto lo scorso maggio nell’ambito del progetto I-Can (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta)

(12) Quest’oggi, all’aeroporto internazionale Leonardo Da Vinci, finanzieri dello Scico di Roma e del Gico di Reggio Calabria, con il supporto del Gruppo di Fiumicino, hanno concluso la procedura di estradizione dell’indagato CEKINI Ardjan, colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale reggino in data 5 dicembre 2019, non eseguito in quanto resosi irreperibile all’estero e successivamente arrestato in data 26 maggio 2020, in esecuzione del mandato di cattura internazionale, in riferimento al procedimento 5398/16.

CEKINI,accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico internazionale di stupefacenti, è stato indagato nell’ambito dell’operazione Magma, coordinata dal Procuratore Capo, dott. Giovanni Bombardieri, dal Procuratore Aggiunto, dott. Gaetano Paci e dal Sost. Proc. Francesco Ponzetta condotta dalla Sezione G.O.A. del G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e dallo S.C.I.C.O. di Roma, conclusa nel novembre 2019 con l’esecuzione di 45 misure cautelari per associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti, detenzione illegale di armi.

Le attività investigative hanno consentito di destrutturare completamente la cosca di ‘ndrangheta riconducibile ai Bellocco di Rosarno (RC) e le sue articolazioni extra regionali, traendo in arresto tutti i membri apicali della prefata famiglia, appartenente al “mandamento tirrenico” e operante nella piana di Gioia Tauro, in Emilia Romagna, in Lazio e in Lombardia. Il gruppo criminale, articolato su più livelli e dotato di elevatissime disponibilità finanziarie, allo scopo di importare la cocaina, individuava in Sudamerica, in particolare in Argentina e Costarica, fonti di approvvigionamento di ingenti partite di quella sostanza stupefacente da inviare in Italia via mare occultate in appositi borsoni all’interno di container.

Per tali finalità, uomini della cosca Bellocco si sono serviti di alcuni emissari che hanno effettuato diversi viaggi all’estero – al fine di visionare lo stupefacente e contrattare con i referenti in loco per organizzare gli aspetti logistici dell’importazione – e, tra questi, CEKINI Ardjan, avamposto della ‘Ndrina “Bellocco” nell’area balcanica, il quale partecipava – insieme ad altri sodali – ad organizzare l’acquisto in Spagna di circa 20 kg di cocaina e forniva all’organizzazione apparati per comunicazioni telematiche criptate.

L’estradizione di oggi giunge al termine di serrate indagini condotte dal Nucleo P.E.F. di Reggio Calabria e dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma, con il determinante supporto del II Reparto del Comando Generale del Corpo, della Direzione Centrale della Polizia Criminale, guidata dal Prefetto Rizzi, dal Segretariato

Generale dell’OIPC-INTERPOL di Lione e del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, con il supporto operativo della Polizia di Stato albanese, nell’ambito del più ampio progetto I-CAN (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta), promosso dall’Italia insieme ad Interpol che ha consentito, tra l’altro, di rintracciare e catturare in contemporanea, oltre al menzionato, ulteriori 5 soggetti in tre diversi Stati esteri: Albania – Argentina e Costarica.

 

 

 

 

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Napoli: Guardia di Finanza, operazione “Gemma”. Maxi frode carosello nel settore hi-tech, eseguiti sequestri di beni del valore di 16 milioni

(11) Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, all’esito di complesse indagini coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli – Terza Sezione criminalità economica ed informatica, ha eseguito, tra le regioni Campania, Lazio, Molise e Lombardia, un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni del valore di circa 16 milioni di euro.

La misura cautelare patrimoniale è stata adottata dal GIP del Tribunale di Napoli al termine di una complessa attività investigativa, anche di natura tecnica, nel settore del commercio di prodotti tecnologici ed informatici, che ha portato il 1° Nucleo Operativo Metropolitano al sequestro di disponibilità finanziarie presenti su conti correnti, beni immobili, automezzi, quote e partecipazioni societarie, considerati profitto illecito della frode fiscale.

Gli accertamenti di natura economico-finanziaria hanno preso le mosse dall’approfondimento di una richiesta di mutua assistenza amministrativa in materia fiscale pervenuta dall’Organo collaterale olandese, tramite il Comando Generale – II Reparto del Corpo, ed hanno documentato l’esistenza di un sodalizio criminale che ha ideato una complessa frode nel settore della compravendita di prodotti informatici ed elettronici (smartphone e tablet Apple/Samsung/Huawei, personal computer e relativa componentistica, console Xbox 360/One, Sony Ps4, Nintendo Wii e connessi accessori/videogiochi, smart TV Samsung/LG, sistemi di memorizzazione esterna USB/SSD/microSD ecc.), mediante la creazione e l’interposizione fittizia di svariati soggetti economici (società cartiere), finalizzata all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto nazionale e comunitaria, secondo il notorio meccanismo delle “frodi carosello”.

Nello specifico, gli acquisti intracomunitari sono stati effettuati da fornitori con sede in Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria.

Complessivamente, sono stati denunciati 19 soggetti responsabili dei reati di associazione per delinquere finalizzata all’emissione e all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed omessa dichiarazione.

Sedici le società che hanno preso parte alla maxi evasione fiscale, avente come protagonisti indiscussi un imprenditore e un commercialista partenopei, che risultano avere creato dal 2015 al 2018 un giro di fatture per operazioni inesistenti, in emissione ed utilizzo, per un ammontare superiore ai 200 milioni di euro.

Infine, dalle indagini è emerso come il libero professionista promotore della frode carosello si dedicasse anche alle indebite compensazioni di crediti inesistenti, che ammontavano a circa mezzo milione di euro e venivano effettuate attraverso modelli di pagamento F24 presentati direttamente in banca oppure utilizzando i servizi di home banking.

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Guardia di Finanza: pubblicato il bando di concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di 571 allievi finanzieri – anno 2020

(10) Sulla Gazzetta Ufficiale – IV Serie Speciale – n. 100, del 29 dicembre 2020, è stato pubblicato il bando di concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di 571 allievi finanzieri (510 del contingente ordinario e 61 del contingente di mare) così ripartiti:

  • n. 315 riservati ai volontari in ferma prefissata delle Forze armate;
  • n. 256 rivolti ai cittadini italiani (18 posti sono riservati a coloro in possesso dell’attestato di bilinguismo di cui all’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752).

    Per la prima volta, sono stati destinati 120 posti all’arruolamento di personale da avviare al conseguimento della specializzazione “Anti Terrorismo e Pronto Impiego (A.T.P.I.)”.
    Al concorso possono partecipare coloro che abbiano, alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, compiuto il 18° anno e non abbiano superato il giorno di compimento del 26° anno di età. Il limite anagrafico massimo così fissato è elevato di un periodo pari all’effettivo servizio militare prestato e, comunque, non superiore a tre anni per coloro che, alla data del 6 luglio 2017, svolgevano o avevano svolto servizio militare volontario, di leva o di leva prolungato.

    Ai fini della presentazione della domanda di partecipazione é necessario essere in possesso del diploma di istruzione secondaria:

  • di primo grado, per i posti riservati ai volontari delle Forze armate;
  • di secondo grado che consenta l’iscrizione ai corsi per il conseguimento della laurea, per i restanti posti.

La domanda di partecipazione al concorso, da presentare entro le ore 12.00 del 29 gennaio 2021, dovrà essere compilata esclusivamente mediante la procedura telematica disponibile sul portale attivo all’indirizzo https://concorsi.gdf.gov.it, seguendo le istruzioni del sistema automatizzato.
I concorrenti, che devono essere in possesso di un account di posta elettronica certificata (“P.E.C.”), dopo aver effettuato la registrazione al portale, potranno accedere, tramite la propria area riservata, al form di compilazione della domanda di partecipazione.
Sul predetto sito internet e tramite l’APP Mobile “GdF Concorsi” è possibile acquisire ulteriori e più complete informazioni di dettaglio sul concorso e prendere visione del bando.

 

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Senigallia (An): Guardia di Finanza, operazione “Domino”. 68 denunciati per l’evasione di 23 milioni ed il riciclaggio da parte di imprenditori cinesi

(9) Le Fiamme Gialle della Tenenza di Senigallia (AN) hanno portato a compimento, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Ancona, una vasta attività investigativa che ha permesso d’individuare, nell’ambito di ben 15 procedimenti penali, una complessa ed estesa frode nel settore del confezionamento di prodotti tessili all’interno del distretto di Senigallia- Ostra-Mondolfo, che ha portato alla denuncia, per reati fiscali, riciclaggio ed autoriciclaggio di proventi illecitamente accumulati di 68 soggetti di etnia cinese, che hanno gestito cinquantasette imprese che operavano nello specifico settore.

Le indagini sono state avviate nel 2016 attraverso una attenta analisi d’intelligence di dati finanziari, tra cui quelli relativi alle persone e società che presentavano posizioni debitorie per centinaia di migliaia di euro nei confronti del Fisco e degli enti previdenziali nella provincia di Ancona per mancati versamenti di imposte e contributi.

I finanzieri sono riusciti così a individuare numerose ditte individuali, localizzate all’interno del citato distretto industriale della manifattura tessile, riconducibili a persone di origine orientale, le quali, attraverso sistematiche condotte di evasione fiscale e contributiva riuscivano a offrire prezzi concorrenziali per le commesse ricevute da imprenditori italiani del comparto tessile.

Il sistema di frode scoperto veniva ripetutamente realizzato da ben cinquantasette imprese e consentiva il metodico mancato versamento all’Erario delle imposte dirette, dell’I.V.A. nonché dei contributi fiscali e assicurativi attraverso una programmata anomala “breve vita” della singola realtà aziendale, la quale veniva appositamente fatta cessare, solo in via formale, dopo appena due o tre anni, accumulando ingenti debiti verso lo Stato.

In realtà, veniva garantita la prosecuzione dell’attività industriale in “continuità aziendale” grazie al preordinato utilizzo delle precedenti sedi, dei medesimi capannoni, avvalendosi delle identiche risorse umane e beni materiali, dello stesso tenutario delle scritture contabili e a favore dei precedenti clienti committenti dei lavori.

I militari dipendenti dal Comando Provinciale di Ancona hanno eseguito, nel corso delle complesse investigazioni, numerose perquisizioni durante gli orari notturni mentre venivano confezionati i capi di abbigliamento, sia presso gli opifici che le abitazioni degli indagati sequestrando disponibilità finanziarie, copiosa documentazione contabile e extra-contabile.

I numerosi e gravi indizi così acquisiti hanno consentito di rilevare come ciclicamente il titolare e un dipendente della ditta di turno coinvolta, che veniva fatta appositamente cessare, procedevano strumentalmente a “invertire” i loro ruoli diventando, rispettivamente, dipendente e titolare di una neo-costituita impresa, la quale subentrava alla precedente, che invece non aveva intenzionalmente onorato i suoi debiti fiscali e contributivi.

Tale ciclo si ripeteva con cadenza quasi biennale e la cessazione della partita IVA rappresentava, pertanto, un mero strumento di dissimulazione della continuità aziendale, consentendo al dominus di turno di sottrarsi, in modo fraudolento, al pagamento delle imposte

In determinati casi gli uomini delle Fiamme Gialle sono riusciti a scoprire che gli imprenditori indagati per evitare il pagamento delle imposte, abbattendo la base imponibile da dichiarare, facevano uso di fatture per operazioni inesistenti, emesse da altre aziende cinesi per un totale di quattro milioni di euro.

Sulla base della richiesta del magistrato inquirente il Tribunale di Ancona ha disposto a carico degli indagati il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità degli stessi fino alla concorrenza di euro 5.489.338.

I finanzieri hanno, pertanto, sottoposto a sequestro disponibilità finanziarie rinvenute sui conti correnti per settecentotrentasettemila euro, crediti presso terzi per un valore di oltre 1.493.000,00 euro, cinque opifici per oltre tremila metri quadrati, 342 macchinari e sei autovetture.

I sequestri, effettuati anche nei confronti di prestanome, sono stati confermati in più occasioni dal Tribunale del riesame che ha condiviso le ipotesi di reato prospettate dalla Procura della Repubblica e convalidate dal G.I.P..

Il Tribunale di Ancona, negli ultimi due anni, ha emesso sentenze, passate in giudicato, con cui ha confermato le condanne richieste dal Pubblico Ministero nei confronti di diversi imprenditori cinesi e dei loro prestanome nonché disposto la confisca di beni mobili ed immobili loro riconducibili per un valore di euro 1.151.896,00. In tale contesto i finanzieri di Senigallia hanno sottoposto a confisca disponibilità finanziarie e n.3 degli opifici già sottoposti a sequestro per un ammontare complessivo di euro 1.038.471,00.

Parallelamente sono state sviluppate apposite verifiche fiscali nei confronti degli imprenditori coinvolti, di cui ventiquattro sono risultati evasori totali (in quanto non hanno presentato le dichiarazioni fiscali), che hanno portato a constatare complessivamente ricavi non dichiarati per 23 milioni di euro, IVA dovuta per 5 milioni di euro e fatture per operazioni inesistenti per un imponibile di quattro milioni di euro.

Significativi i ruoli degli imprenditori cinesi noti come “Luisa”, “Linda”, “Francesco”, “Mike”, “Romeo”, “Marco” e “Marcello” formalmente residenti nella provincia di Ancona, che sono risultati essere le “menti” del sistema illecito in quanto, ognuno di essi, sovrintendeva in ogni opificio individuato, alla propria filiera di lavorazione, operando nell’ombra grazie all’utilizzo di “prestanome” o propri familiari, proseguendo nel tempo l’esercizio della propria attività, creando veri e propri “filtri” con meccanismo di scatole sovrapposte, costituendo un reale ostacolo per il successivo recupero della pretesa erariale.

Gli ulteriori approfondimenti eseguiti in materia di lavoro hanno permesso di rilevare la presenza nei predetti stabilimenti di ventisei lavoratori in nero che, anche a causa dei prolungati turni, venivano fatti dormire negli stessi luoghi di lavoro in aree non idonee, allestite come veri e propri “dormitori”, prive di via di fuga, senza idonee misure di sicurezza e con la presenza di materiali ad elevato rischio di incendio. Tali dipendenti utilizzavano delle zone improvvisate per la cottura dei cibi in precarie condizioni igieniche.

Per salvaguardare l’incolumità fisica dei dipendenti e prevenire i gravi rischi è, quindi, proceduto al sequestro preventivo dei predetti immobili, in ossequio alle direttive dettate dalla Procura della Repubblica.

I proventi riciclati e/o autoriciclati dopo un’attenta azione di ripulitura confluivano nei conti correnti dei dominus e trasferiti in Cina ovvero utilizzati per l’acquisto di altre attività commerciali, di beni di lusso in note boutique milanesi site in via Montenapoleone ovvero utilizzati in case da gioco on-line assiduamente frequentate.

Nel corso delle indagini sono state segnalati all’Unità d’Informazione Finanziaria della Banca d’Italia n. 4 istituti di credito, n. 7 direttori di filiale e n. 2 commercialisti per aver omesso di segnalare operazioni sospette ai fini della normativa antiriciclaggio.

Le ragioni della proliferazione di tali imprese è derivata, grazie ai ripetuti illeciti, dai prezzi competitivi che queste sono state in grado di assicurare ad alcuni operatori del primario settore marchigiano del tessile, segmento ad alta incidenza di capitale umano, abbattendo indebitamente i costi di produzione, danneggiando gli operatori corretti e conseguendo ingiustificate performance sul mercato, tali da alterare le dinamiche della libera concorrenza nonché determinare, in modo indiretto, gravi danni sia al gettito erariale, nazionale e locale, che agli altri imprenditori onesti.

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Firenze: Guardia di Finanza, operazione “Minerva”. Eseguite 34 misure cautelari e sequestri antimafia per oltre 8 milioni

(7) I militari del Comando Provinciale di Firenze e dello S.C.I.C.O. di Roma della Guardia di Finanza, alle prime luci dell’alba di mercoledì 20 gennaio 2021, nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, hanno dato esecuzione a un provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Firenze, Dott. Federico Zampaoli, che ha disposto 34 misure cautelari, di cui 4 in carcere, 6 ai domiciliari, 9 obblighi di dimora e 15 misure di interdizione personale con divieto di svolgimento di tutte le attività inerenti l’esercizio di imprese ed il sequestro preventivo agli indagati di beni e disponibilità, anche per equivalente, fino alla concorrenza di circa 8.300.000 euro.

I plurimi reati contestati sono l’associazione per delinquere (416 c.p.), il riciclaggio, l’autoriciclaggio e il reimpiego (art. 648 bis, 648 bis -1, 648 ter c.p.), l’intestazione fittizia di beni (512 bis c.p.), l’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (2 e 8 D.lgs 74/2000), con l’aggravante di cui all’art 416 bis – 1 c.p., per aver favorito l’associazione camorristica clan dei “Casalesi”.

Oltre alle responsabilità penali delle persone fisiche, vengono contestati illeciti per fatti dipendenti da reato a 23 persone giuridiche, ai sensi dell’art 5 decreto legislativo 231/2001, che disciplina la responsabilità degli enti.

Le attività sono state eseguite nelle province di Firenze, Lucca, Pistoia, Treviso, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Roma, Isernia e Caserta, con la collaborazione dei Reparti del Corpo competenti per territorio e del R.O.A.N. di Napoli.

La complessa ed articolata attività di indagine, svolta dal G.I.C.O. del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Firenze con la collaborazione dello S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza, fondata anche sulla sistematica ricostruzione dei movimenti bancari e finanziari, nonché su minuziosi accertamenti economico-patrimoniali, è stata diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Firenze – Procuratore Capo Dott. Giuseppe Creazzo e Sostituto Procuratore Dott. Giulio Monferini, che ha operato con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e la collaborazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.

Le indagini hanno tratto origine dallo sviluppo di informazioni afferenti a numerosi investimenti immobiliari e commerciali effettuati nel 2016 nella provincia di Siena da due commercialisti campani, affiancati, tra gli altri, da un architetto fiorentino, originario del casertano, ritenuti contigui ad ambienti di criminalità organizzata che facevano riferimento al clan dei “Casalesi”.

Gli approfondimenti e le investigazioni hanno permesso di rilevare che soggetti collegati al clan, attraverso molteplici società operanti nei settori immobiliari e commerciali, avevano reimpiegato ingenti disponibilità finanziarie di provenienza delittuosa in attività imprenditoriali ubicate anche sul territorio toscano.

Partendo dal flusso dei pagamenti relativi all’esecuzione dei lavori appaltati, le Fiamme Gialle hanno disvelato un complesso sistema di false fatturazioni posto a copertura di cospicui e continui bonifici in uscita dalle aziende di costruzione e disposti a vantaggio di società “cartiere”. I conti correnti di queste venivano poi svuotati attraverso un’organizzata squadra di “bancomattisti prelevatori”, persone prossime alla soglia della povertà e alcune delle quali beneficiarie di reddito di cittadinanza (RdC, sostegno economico introdotto nel 2019) o di emergenza (REM, misura introdotta a seguito dell’emergenza epidemiologica), remunerate dal sodalizio con commissioni pari al 2 – 3% delle somme monetizzate.

Nel dettaglio, è stato rilevato un sofisticato sistema fraudolento, fondato su diverse società, ritenute riconducibili agli indagati e formalmente gestite da prestanome, che hanno svolto diversi lavori edili sul territorio nazionale, operando perlopiù in subappalto. L’esecuzione dei lavori e la successiva fatturazione da parte dei committenti dava corso ad una prima serie di fatture per operazioni inesistenti a favore di società di comodo che attestavano falsamente la collaborazione nei lavori. L’ulteriore fase prevedeva altre fatturazioni per operazioni inesistenti a favore di altre “cartiere”, i cui amministratori, anch’essi meri prestanome, operavano il prelievo di contanti delle somme di denaro a titolo di pagamento di prestazioni in realtà mai rese. Dedotti i compensi ai prestanome, le somme prelevate finivano poi ai promotori dell’associazione a delinquere per essere successivamente riciclate attraverso investimenti immobiliari nelle province di Pistoia, Lucca, Modena, Roma, Isernia e Caserta.

Nel corso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, alcune delle attività imprenditoriali coinvolte nel sistema fraudolento hanno anche chiesto ed ottenuto contributi a fondo perduto previsti dal “Decreto Rilancio” e finanziamenti garanti dallo Stato ex “Decreto Liquidità”.

L’operazione si inserisce in una più ampia strategia istituzionale di contrasto alle infiltrazioni criminali, realizzata sul territorio dalla Guardia di Finanza con il coordinamento della DDA fiorentina.

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Teramo: Guardia di Finanza, eseguito decreto di sequestro preventivo per oltre 26 milioni. Indagati i vertici della società Strada dei Parchi spa

(358) A conclusione di complesse indagini di Polizia Giudiziaria coordinate dalla Procura della Repubblica di Teramo, militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo – ex art. 321 c.p.p. – di disponibilità finanziarie, beni mobili, immobili, per un ammontare complessivo di euro 26.714.224,94, nei confronti dei sei soggetti indagati che nel tempo hanno assunto cariche apicali della “Strada dei Parchi S.p.a.” nonché di altre 2 società collegate.

Il provvedimento è stato emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Teramo, che ha accolto le richieste dei PP.MM. titolari delle indagini, Dott.ssa Laura Colica e Dott.ssa Silvia Scamurra, al termine delle complesse investigazioni originate da alcune segnalazioni (successive ai tragici fatti riconducibili al crollo del “ponte Morandi” di Genova) che denunciavano lo stato di evidente degrado delle pile dei viadotti della A24, e in particolare di quelli ricadenti nel territorio teramano.

I preliminari sopralluoghi e rilievi fotografici delegati al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Teramo, effettuati alle pile del Viadotto Casale San Nicola del Comune di Isola del Gran Sasso, evidenziavano lo stato di grave degrado (ossidazione dei ferri dovuta anche a cedimento strutturale dei copriferri). Le indagini, sono state quindi estese anche ad altri viadotti della stessa tratta autostradale (Cretara, S. Nicola 1 e 2, Le Grotte, Cerchiara), sempre insistenti sui territori dei Comuni di Isola del Gran Sasso e Colledara.

Le ispezioni svolte, anche con l’ausilio di appositi Consulenti Tecnici nominati dai PP.MM. titolari delle indagini hanno permesso un approfondimento tecnico delle infrastrutture, rilevando criticità su alcune delle pile e degli impalcati costituenti le opere d’arte oggetto di indagine, ovvero: “ammaloramento” evidente dello strato di calcestruzzo posto a protezione dei ferri d’armatura (c.d. strato copriferro); danneggiamento delle canaline di raccolta e dei discendenti che convogliano le acque di dilavamento provenienti dalla sede autostradale; grave stato di ossidazione dei ferri delle armature esposti agli agenti atmosferici a causa della mancanza dello strato copriferro.

Numerose le acquisizioni documentali effettuate presso i competenti uffici del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti di Roma, la sede della società Concessionaria Strada dei Parchi Spa, e la Magistratura Amministrativa (Tar Lazio e Consiglio di Stato).

Le molteplici audizioni di Dirigenti e Funzionari del citato Ministero e dei responsabili della società oltre che le preziose consulenze tecniche eseguite dal Prof. Berardino Chiaia del Politecnico di Torino, hanno condotto a contestare plurimi gravi fatti di reato di “Inadempimento di contratti di pubbliche forniture” (art. 355 co. 1 e 2 n. 1 c.p) e di “Attentato colposo alla sicurezza dei trasporti e disastro colposo” (art. 432 co. 1 c.p.).

La grave situazione accertata a partire da settembre 2018 ad oggi delle opere d’arte dei 7 viadotti teramani è stata evidentemente causata dalla totale inadempienza – dal 2009 ad oggi – da parte della concessionaria autostradale degli obblighi di manutenzione ordinaria sulle opere d’arte discendenti dall’atto concessorio.

Le uniche opere di manutenzione ordinaria svolte dalla concessionaria Strada dei Parchi spa hanno riguardato negli anni la pavimentazione, il verde, le segnaletiche e non le parti strutturali dei viadotti (cassoni, pile e appoggi e ritegni antisismici). I citati interventi di manutenzione ordinaria sulle opere d’arte sono stati effettuati a partire dal 2018 e neppure a spese della concessionaria perché sono stati utilizzati contributi statali, erogati in base ai provvedimenti successivi i fatti di Genova.

Grave poi è risultata anche l’inottemperanza agli obblighi di manutenzione straordinaria che gravavano sulla concessionaria dal 2009 relativamente al Viadotto Temperino, da eseguirsi entro il 2013 ma anch’essi omessi fino al 2018/2019, quando sono stati eseguiti con contributi dello Stato.

Ciò ha comportato la contestazione alla concessionaria delle gravi inadempienze agli obblighi derivanti dall’incarico pubblico di gestione dell’autostrada A24 nel tratto teramano e la contestazione dell’attentato colposo ai pubblici trasporti, poiché le prolungate omissioni dal 2009 al 2018 (e in parte ancora fino all’attualità) non hanno assicurato la funzionalità e l’esercizio in sicurezza della tratta autostradale e hanno messo in pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti.

Le Fiamme Gialle teramane hanno esaminato lo stato del consistente contenzioso amministrativo in materia di obblighi gravanti sulla Strada dei Parchi spa derivanti dalle Convenzioni di affidamenti infragruppo, sono stati sentiti in atti Dirigenti e Funzionari del citato Ministero e i responsabili della società, sono state accertate a carico dei vertici della concessionaria anche plurime condotte di abuso d’ufficio poiché, abusando della loro qualità di “incaricato di pubblico servizio” pur avendo da Concessione e da legge la facoltà di affidare i lavori connessi all’autostrada ad imprese collegate nella misura massima del 60% del valore della concessione, hanno superato detta percentuale già dal 2015 e – nonostante le varie diffide del Ministero – hanno continuato ad affidare i lavori infragruppo alla Toto spa Costruzioni Generali anche violando costantemente i dettami del Codice degli Appalti.

Tali condotte illecite hanno comportato il sequestro diretto e per equivalente nei confronti di tre degli indagati e il sequestro diretto nei confronti delle società collegate alla Concessionaria, per circa 21 milioni di euro.

In data odierna presso il Tribunale di Teramo si è svolta l’udienza camerale per l’esame delle istanze di riesame presentate dai soggetti nei cui confronti è stato operato il sequestro.

L’importante attività investigativa portata a termine, indica la Guardia di Finanza come il principale referente operativo nella lotta agli illeciti nel settore degli appalti, alla non corretta gestione dei servizi pubblici e alla tutela della collettività, su cui inevitabilmente grava la cattiva gestione della cosa pubblica.

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Mantova: Guardia di Finanza, sequestrati beni mobili ed immobili a 2 imprenditori evasori fiscali per circa 1,3 milioni

(357) Il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Mantova, all’esito di specifiche attività di polizia giudiziaria dirette e coordinate dalla Procura della Repubblica di Mantova a contrasto dell’evasione e delle frodi fiscali, nei giorni scorsi ha eseguito un decreto di sequestro preventivo, anche nella forma “per equivalente”, per un importo complessivo di circa 2,5 milioni di euro.

Si tratta di un provvedimento emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Mantova su richiesta della medesima Procura della Repubblica, nei confronti di un professionista operante nel campo dell’ingegneria edile. In particolare, a seguito di due verifiche fiscali effettuate dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria, è stata contestata una consistente evasione fiscale realizzata utilizzando ed emettendo fatture per operazioni inesistenti e non versando l’Iva che egli stesso aveva dichiarato come dovuta al Fisco. Le attività investigative, basate sul riscontro dei rapporti economici con clienti e fornitori, hanno portato a ritenere sussistente la fittizietà delle operazioni intercorse con numerose società “cartiere” (cioè imprese prive di vera operatività, utilizzate anche per emettere fatture false) per gli anni d’imposta dal 2012 al 2016.

L’attività cautelare, finalizzata alla confisca, ha interessato n. 7 unità immobiliari dislocate tra Mantova e la vicina Verona; ingenti disponibilità finanziarie e tre auto sportive di valore.

Ma non è la sola attività che, nell’ultimo mese, ha caratterizzato l’impegno sinergico di Guardia di Finanza e Procura della Repubblica a contrasto dell’evasione attuata con illeciti penali. Non più tardi di due settimane fa, altro analogo provvedimento è stato eseguito a carico di un soggetto operante in provincia di Mantova, che, secondo l’accusa, aveva compensato propri debiti tributari e previdenziali con crediti inesistenti, incorrendo nel reato previsto dall’art. 10 quater («indebita compensazione») del D.Lgs 74/2000. In questo caso sono state sequestrate ingenti disponibilità bancarie per oltre 600 mila euro.

In definitiva, grazie ai due provvedimenti di sequestro eseguiti nelle ultime settimane dai finanzieri mantovani nell’azione coordinata dalla Procura della Repubblica di Mantova, sono stati sottratti alla disponibilità degli indagati beni per un valore complessivo di oltre 3,1 milioni di euro, che rappresentano, in ipotesi accusatoria, il profitto di reati tributari e, come detto, all’esito del giudizio di merito, potranno essere definitivamente acquisiti al patrimonio dello Stato con la confisca. I contribuenti denunciati possono fare acquiescenza ed estinguere il debito prima del giudizio, ottenendo sconti di pena o la non punibilità.

Tali azioni investigative confermano, ancora una volta, l’importanza di un efficace raccordo fra l’attività di verifica fiscale finalizzata al contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, che costituisce uno degli obiettivi strategici della Guardia di Finanza quale Corpo di Polizia economico- finanziaria, e l’adozione, da parte dell’Autorità Giudiziaria, di provvedimenti di sequestro dei patrimoni degli indagati corrispondenti alle imposte evase per reati tributari, che favoriscono il recupero di risorse per il Paese e per la collettività, utili soprattutto nell’attuale scenario di crisi generato dalla pandemia da Covid-19.

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Latina: Guardia di Finanza, operazione “δοῦλος”. Contrasto al fenomeno del “caporalato”, eseguite 6 misure cautelari personali per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

(356) I militari della Guardia di Finanza di Latina, coordinati dalla locale Procura della Repubblica, a eseguito di indagini, svolte sotto la direzione del Procuratore Aggiunto, Dottor Carlo Lasperanza e dei Sostituti Procuratori, Dottor Giuseppe Miliano e Dottor Valerio De Luca, hanno eseguito una serie di misure cautelari personali emesse dal G.I.P. presso il tribunale pontino, Dottor Mario LA ROSA, per le ipotesi di reato di cui agli articoli 110 e 603bis C.p, mettendo fine ad una collaudata attività criminale dedita al sistematico sfruttamento dei braccianti agricoli di nazionalità prevalentemente indiana.

L’operazione di polizia economico-finanziaria – denominata “δοῦλος” (dal greco antico “servo”, “schiavo”), iniziata da un controllo in materia di lavoro sommerso, eseguito dai Finanzieri della Tenenza di Sabaudia nei confronti un’importante azienda agricola pontina, ha permesso di accertare come la società, grazie all’opera dell’amministratore e di altri soggetti in posizione direttiva abbia impiegato nel lavoro agricolo nelle unità locali operative in provincia di Latina, nel corso degli ultimi due anni, complessivamente oltre 290 lavoratori in condizioni di assoluto sfruttamento e prevaricazione.

Nel corso delle indagini, è emerso – grazie alla documentazione extracontabile acquisita all’esito di mirate perquisizioni locali disposte dall’A.G. pontina – che gli indagati, approfittando dello stato di bisogno di numerosi lavoratori stranieri, hanno proceduto non solo alla corresponsione di retribuzioni orarie sensibilmente inferiori a quelle previste dai contratti collettivi di categoria, ma anche all’impiego effettivo della manodopera per un numero di ore di lavoro settimanale di gran lunga superiore a quello formalmente risultante nella documentazione aziendale “ufficiale” (formalmente ineccepibile) concernente i relativi rapporti di lavoro subordinato (contratti di lavoro, buste paghe, registro presenze, etc.).

Le condizioni di lavoro e i metodi di sorveglianza pressanti e degradanti, attuati dai responsabili dell’area amministrativa e di controllo del personale, sono stati tali da generare nei lavoratori stranieri – costantemente provati da un profondo stato di bisogno e dalla necessità, spesso, di mantenere economicamente le famiglie d’origine – anche un totale assoggettamento psicologico al “datore di lavoro”. In alcuni casi, infatti, i lavoratori sono stati costretti a rinunciare al riposo settimanale e/o alla fruizione di ferie.

Lo sfruttamento dei braccianti agricoli ha consentito all’azienda agricola non solo di risparmiare sensibilmente sul costo della manodopera – a discapito delle fasce più deboli – ma anche di attuare una grave concorrenza sleale a danno degli altri operatori economici “onesti” del settore, grazie al mancato pagamento alle casse dell’INPS dei maggiori contributi previdenziali e assistenziali ammontanti ad oltre 110.000,00 euro.

L’intervento delle Fiamme Gialle pontine s’inquadra nell’ambito dei compiti di polizia economico-finanziaria attribuiti alla Guardia di Finanza a tutela del mercato del lavoro – per contrastare, in particolare, le più gravi forme di prevaricazione e sfruttamento – degli interessi erariali, nonché dell’ordine pubblico economico e della leale concorrenza tra imprese rispettose delle regole e dei diritti dei lavoratori.

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Ravenna: Guardia di Finanza, operazione “Duty free”. Sequestrati oltre 2,5 milioni di DPI importati illecitamente dalla Cina in esenzione di dazi ed IVA. Denunciato per contrabbando aggravato il legale rappresentante della società importatrice

(355) Sulla base di una preventiva attività di analisi delle operazioni doganali di importazione di merci destinate al contrasto della diffusione del COVID 19 poste in essere dall’inizio della pandemia da parte di imprese con sede nella provincia di Ravenna, nei giorni scorsi i finanzieri del Comando Provinciale di Ravenna hanno effettuato una serie di controlli a campione finalizzati a verificare la qualità dei materiali sotto il profilo delle necessarie certificazioni di sicurezza e, nel contempo, la regolarità, anche sotto il profilo fiscale, delle procedure attuate.

In questo ambito l’attenzione investigativa delle Fiamme Gialle si è concentrata – tra gli altri – su un’azienda del faentino che risultava aver importato via aerea dispositivi di protezione personale di vario genere (mascherine FFP2 e FFP3, mascherine chirurgiche, tute protettive, occhiali protettivi, calzari e visiere) per decine di milioni di euro, usufruendo in molti casi dello svincolo doganale diretto, in esenzione di dazi e IVA.

Tale procedura, di carattere del tutto eccezionale, è stata prevista da un’apposita ordinanza del Commissario Straordinario per l’emergenza sanitaria di fine marzo scorso, e poi prorogata nel tempo, proprio al fine di agevolare al massimo la distribuzione sul territorio nazionale di beni utili alla lotta alla pandemia e prevede la possibilità di importare la merce con il beneficio della totale esenzione di dazi all’importazione e di IVA, purché la merce sia destinata ad enti pubblici o aziende sanitarie accreditate per l’impiego diretto o la distribuzione gratuita alla collettività, escludendo quindi da ogni agevolazione tributaria le importazioni di beni invece destinati alla rivendita.

Nel caso specifico, dai preliminari accertamenti emergevano alcuni indicatori di rischio di frode, in quanto la società controllata, operante già nel settore del commercio di dispositivi paramedicali, anche se di altro tipo, e con un limitato giro d’affari, dall’inizio dell’emergenza sanitaria risultava aver incrementato esponenzialmente i propri acquisti dall’estero, superando i 20 milioni di euro di valore della merce acquistata, dei quali ben 12 milioni riguardavano DPI importati dalla Cina in totale esenzione d’imposta in quanto destinati, così come attestato nelle autocertificazioni presentate dall’impresa in dogana, a diverse strutture sanitarie pubbliche e private convenzionate, ovvero ad altri organismi pubblici per fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto.

A fronte di tali evidenze i militari del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Ravenna decidevano di approfondire gli accertamenti attraverso un’ispezione diretta presso la sede aziendale, in modo da verificare se quanto dichiarato in dogana avesse poi trovato concreta attuazione nelle successive operazioni commerciali e se effettivamente la merce fosse poi stata destinata alle strutture pubbliche indicate quali destinatari finali dei beni.

In realtà, fin da subito il controllo non è risultato semplice, atteso che l’azienda aveva approntato tre magazzini di grandi dimensioni dove aveva stipato nel tempo la grande quantità di beni importati, che in gran parte non erano stati affatto consegnati alle strutture sanitarie, ma giacevano accantonati, evidentemente in attesa di trovare altri acquirenti.

In effetti, a dimostrazione dell’intento speculativo e commerciale delle operazioni, dal controllo è stato appurato come la merce importata non venisse poi ceduta direttamente agli enti pubblici come dichiarato, bensì ad un’altra società commerciale collegata alla venditrice e riconducibile al medesimo assetto proprietario, alla quale veniva venduta con un ricarico stimato pari a circa il 18% del prezzo di acquisto. Quest’ultima impresa, poi, rivendeva a sua volta la merce a enti pubblici e/o a altre imprese private applicando un ulteriore ricarico del 20%.

Inoltre, è stato anche accertato come molte delle dichiarazioni che avrebbero dovuto essere sottoscritte dagli enti pubblici quali destinatari finali dei beni e presentate in dogana dall’importatore privato per lo svincolo diretto, fossero state invece predisposte (ed in alcuni casi addirittura vistate) dalla stessa impresa importatrice beneficiaria dell’esenzione fiscale.

E’ stata quindi analiticamente ricostruita la reale destinazione dei dispositivi di protezione di ogni singola importazione, riscontrando anche casi eclatanti di frode quali, ad esempio, la commercializzazione di 8.400 calzari, cartolarmente destinati ad una azienda ospedaliera emiliana, in realtà ceduti ad una impresa privata polacca.

Il responsabile aziendale, che aveva sottoscritto le autocertificazioni false necessarie alla particolare procedura di sdoganamento nonché molte delle dichiarazioni degli enti pubblici, anch’esse predisposte ad arte per aggirare i vincoli doganali, è ora accusato di contrabbando aggravato ed è stato denunciato alla Procura della Repubblica di Ravenna.

Nel contempo, i militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria hanno passato al setaccio i tre magazzini aziendali, riscontrando tutte le giacenze di beni riconducibili alle operazioni doganali eseguite beneficiando illecitamente dell’esenzione di dazi e IVA e quindi oggetto del sistema fraudolento adottato.

Al termine delle operazioni sono stati rinvenuti 2.527.516 DPI di vario tipo, tra cui 1.677.306 mascherine FFP2, 680.230 mascherine chirurgiche a tre strati, 154.327 tute, 14.947 occhiali e 706 visiere protettive, per un valore commerciale complessivo di circa 6.200.000 euro.

Tutta la merce contrabbandata è stata quindi sottoposta a sequestro cautelare, già convalidato dalla competente Autorità Giudiziaria.

La società, inoltre, dovrà versare circa 1.000.000 di euro di dazi all’importazione e circa 1.700.000 euro di Iva, pari a quanto evaso, a fronte dei 12.000.000 di euro di merce acquistata dalla Cina.

Questo ingente sequestro e l’intera attività di analisi da cui è scaturito s’inquadra nell’ambito dei servizi di prevenzione e repressione degli illeciti legati all’emergenza sanitaria da Covid-19, avviati sin dall’inizio della pandemia dalle Fiamme Gialle ravennati, con l’ausilio dei Reparti Speciali del Corpo, con particolare attenzione alla corretta importazione dei dispositivi di protezione personale, sia dal punto di vista fiscale che della sicurezza dei prodotti, soprattutto per quella parte di dispositivi di protezione individuale (D.P.I.) che necessitano di specifiche certificazioni per la loro commercializzazione.

In questo senso l’attività svolta testimonia la costante attenzione operativa dei Reparti territoriali della Guardia di Finanza affinché imprenditori senza scrupoli non sfruttino le agevolazioni normative connesse alla necessità di fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto, al solo scopo di ottenere a titolo personale illeciti vantaggi economici.

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Reggio di Calabria: Guardia di Finanza, confiscato l’ingente patrimonio di un imprenditore indiziato di appartenenza alla ‘ndrangheta il cui valore complessivo supera i 13 milioni

(354) Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, con il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione alla confisca di un ingente patrimonio, costituto da compendi societari, beni immobili e rapporti finanziari, per un valore complessivo di oltre 13 milioni di euro, nei confronti di SPOSATO Carmelo cl. ’74, imprenditore edile indiziato di intraneità alla cosca “Sposato-Tallarida”, operante in Taurianova (RC) e zone limitrofe.

Il provvedimento conferma quanto già disposto dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale reggino – presieduta dalla Dott.ssa Ornella Pastore – su richiesta del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Procuratore Giulia Pantano, con cui era stata applicata la misura di prevenzione patrimoniale del sequestro dei beni intestati/riconducibili al medesimo soggetto.

La figura di SPOSATO Carmelo era emersa nell’ambito dell’operazione “Terramara Closed” condotta dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria, dal Reparto Operativo dell’Arma dei Carabinieri e dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria – coordinata dalla citata Direzione Distrettuale Antimafia – e conclusa, nel mese di dicembre 2017, con l’esecuzione di provvedimenti:

  • restrittivi personali nei confronti di 47 soggetti – tra cui il predetto SPOSATO Carmelo, per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, intestazione fittizia di beni ed estorsione, aggravati dal metodo mafioso, poiché ritenuti intranei alla cosca di ‘ndrangheta “Avignone – Zagari – Fazzalari – Viola” (alla quale apparterrebbe il citato gruppo mafioso “Sposato-Tallarida”) attiva nel mandamento tirrenico della provincia reggina;
  • cautelari reali su un patrimonio costituito dai compendi aziendali di imprese/società, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie per un valore stimato complessivamente in euro 25 milioni.

In tale contesto, il G.I.C.O. del citato Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria e lo S.C.I.C.O. valorizzando le funzioni proprie della Guardia di Finanza nella prevenzione e contrasto ad ogni forma di infiltrazione della criminalità nel tessuto economico del Paese e di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati – aveva ricostruito, attraverso articolati approfondimenti sulle transazioni economico finanziarie e patrimoniali effettuate dai soggetti indagati negli ultimi 20 anni, il patrimonio complessivamente accumulato – tra gli altri – dai componenti del nucleo familiare SPOSATO.

In quel contesto, dopo aver delineato il profilo di pericolosità sociale qualificata in capo al proposto Sposato Carmelo, anche attraverso la valorizzazione delle risultanze scaturenti dalle pregresse indagini, la pertinente attività investigativa aveva consentito di accertare, la sussistenza di una significativa sproporzione tra il profilo reddituale e quello patrimoniale del nucleo familiare del predetto.

Alla luce di tali risultanze, in aderenza alle ipotesi investigative delle Fiamme Gialle e della locale D.D.A., nel 2019, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, disponeva la misura cautelare del sequestro sull’ingente patrimonio illecitamente accumulato dall’imprenditore, costituito da 4 imprese/società commerciali comprensive dell’intero patrimonio aziendale, quote societarie, 18 fabbricati e 27 terreni, nonché disponibilità finanziarie, per un valore stimato in circa euro 13.200.000.

Con l’odierno provvedimento, a corollario della suddetta attività, nei confronti di SPOSATO Carmelo cl. ’74 è disposta la confisca dei beni già oggetto di sequestro.

L’attività di servizio in rassegna testimonia ancora una volta l’elevata attenzione della Guardia di Finanza che, nel solco delle puntuali indicazioni dell’Autorità Giudiziaria reggina, continua a essere rivolta all’individuazione e alla conseguente aggressione dei patrimoni e delle disponibilità finanziarie illecitamente accumulati dalle consorterie criminali di stampo mafioso, allo scopo di arginare l’inquinamento del mercato e della sana imprenditoria, con l’intento di ripristinare adeguati livelli di legalità, trasparenza e sicurezza pubblica.

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Napoli: Guardia di Finanza, bonus spesa Covid-19 indebitamente percepiti. Sanzionati 700 soggetti, scoperti importi illeciti per oltre 250.000 euro

(353) Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, nell’ambito dei controlli nei confronti dei soggetti percettori dei “Bonus spesa Covid- 19”, ha scoperto che oltre 700 soggetti hanno ottenuto indebitamente il beneficio dichiarando di trovarsi in condizioni di difficoltà economica ovvero di indigenza tali da non consentire nemmeno il minimale approvvigionamento di generi alimentari e di prima necessità.

È emerso, infatti, che uno o più componenti dei nuclei familiari monitorati, a seconda dei casi, avevano ricevuto lo stipendio o una pensione, anche per cospicui importi, percepito il Reddito di Cittadinanza, indennità di disoccupazione o altre prestazioni sociali agevolate oppure alterato il proprio stato di famiglia indicando soggetti fittizi o non residenti per incrementare la somma da percepire.

Davvero tante le situazioni di rilievo: si va dai coniugi che hanno richiesto entrambi il bonus ma per lo stesso nucleo familiare, a soggetti che già percepivano l’assegno di mantenimento per separazione, a titolari di Partita Iva e persino a congiunti di esponenti della criminalità organizzata.

Nella maggior parte dei casi è emerso che i nuclei familiari monitorati hanno indicato un ISEE con un valore inferiore a quello previsto.

Emblematico, al riguardo, il caso di una signora napoletana scoperto dalle Fiamme Gialle del 1° Nucleo Operativo Metropolitano che ha presentato un’attestazione ISEE pari a 4.895 euro, ma che in realtà, come appurato, era di oltre 67.000 euro.

La stessa, inoltre, deteneva risparmi sui propri conti correnti per 325.000 euro e un patrimonio immobiliare del valore di circa 36.000 euro.

Nel complesso sono state irrogate sanzioni amministrative, per indebita percezione di erogazioni pubbliche, per oltre 250.000 euro e sono stati segnalati i trasgressori agli Enti Comunali, al fine di avviare il recupero delle somme indebitamente percepite.

Le attività di controllo testimoniano l’impegno della Guardia di Finanza nell’azione di contrasto ad ogni forma di illecito a danno della spesa pubblica nazionale, al fine di prevenire e reprimere, soprattutto in un periodo di crisi economica e sociale causata dall’emergenza sanitaria, le fattispecie di indebita percezione delle risorse pubbliche destinate alle famiglie realmente bisognose e maggiormente colpite dagli effetti economici derivanti dall’emergenza in atto.

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Roma: Guardia di Finanza, operazione “Mondo di mezzo”. Confisca definitiva di beni nei confronti di Massimo Carminati, Salvatore Buzzi ed altri indagati

(352) Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno eseguito la confisca definitiva di beni riconducibili, direttamente o indirettamente, a CARMINATI Massimo (classe 1958), BRUGIA Riccardo (classe 1961), LACOPO Roberto (classe 1965), BUZZI Salvatore (classe 1955), GAGLIANONE Agostino (classe 1958), GAUDENZI Fabio (classe 1972), GUARNERA Cristiano (classe 1973) e DE CARLO Giovanni (classe 1975), tutti tratti in arresto, nel dicembre 2014, da personale del R.O.S. Carabinieri di Roma nell’ambito dell’operazione “Mondo di mezzo”.

La confisca rappresenta l’epilogo delle indagini patrimoniali svolte nei confronti degli indagati e dei loro “prestanome”, delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria ai sensi del “Codice antimafia” (D.Lgs. 159/2011), in una cornice di coordinamento investigativo con l’Arma dei Carabinieri.

Gli specialisti del G.I.C.O. hanno ricostruito il “curriculum criminale” dei proposti, accertando la sussistenza dei requisiti di “pericolosità sociale” e della rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati e i patrimoni accumulati nel tempo, necessari affinché il Tribunale capitolino emettesse vari decreti di sequestro, su richiesta della Procura della Repubblica, eseguiti a partire dalla fine del 2014.

Parallelamente all’iter giudiziario per i reati contestati agli indagati, sono stati celebrati i vari gradi di giudizio dell’autonomo procedimento per la misura di prevenzione, che si è concluso con la pronuncia della Corte di Cassazione del 22 ottobre u.s., che ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dalle parti, rendendo così definitiva la confisca di:

–  4 società operanti nei settori immobiliare e del commercio di prodotti petroliferi;

–  13 unità immobiliari e un terreno siti a Roma e in provincia;

–  13 automezzi;

–  69 opere d’arte di importanti esponenti della scena artistica della seconda metà del XX secolo (Pop Art, Nouveau Réalisme, Futurismo e Surrealismo);

–  numerosi rapporti finanziari;

per un valore di stima pari a circa 27 milioni di euro.

A Massimo CARMINATI, condannato per associazione per delinquere, traffico di influenze illecite e corruzione in relazione alle vicende di cui all’operazione in argomento e noto per i suoi trascorsi nella formazione di estrema destra Nuclei Armati Rivoluzionari (N.A.R.), nonché per il “rapporto stabile e funzionale” con la “Banda della Magliana” e il furto al caveau della Banca di Roma presso la Città Giudiziaria di Roma, commesso tra il 16 e il 17 luglio 1999, sono state confiscate, tra l’altro, la villa di Sacrofano e opere d’arte per un valore stimato di oltre 10 milioni di euro. Un’altra villa, nella stessa località, è stata affidata in comodato d’uso gratuito, per vent’anni, all’A.S.L. Roma 4 per la realizzazione di una importante struttura sociosanitaria per aiutare le famiglie di pazienti con autismo.

Nei confronti di Salvatore BUZZI, imprenditore a capo dell’ampia rete di cooperative coinvolte nell’inchiesta e anch’egli condannato per associazione per delinquere, traffico di influenze illecite e corruzione, la misura patrimoniale ha ad oggetto due immobili a Roma nonché le quote e il patrimonio di due società, per un valore stimato di oltre 2,6 milioni di euro.

Indipendentemente dall’esito del giudizio penale, la confisca di beni è stata disposta anche a carico del “braccio destro” di CARMINATI, Riccardo BRUGIA, e dell’altro sodale Fabio GAUDENZI, nonché degli imprenditori Roberto LACOPO – con riferimento, tra l’altro, alla società che gestiva il distributore di carburante sito in Corso Francia a Roma – Agostino GAGLIONE, Cristiano GUARNERA e Giovanni DE CARLO.

L’operazione testimonia il costante impegno dell’Autorità Giudiziaria e della Guardia di Finanza di Roma nell’aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati dalla criminalità, allo scopo di restituirli alla collettività.

Massimo Carminati
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Ferrara: Guardia di Finanza, operazione “Wall papers”. Scoperta frode fiscale con il sistema delle imprese “apri e chiudi”: fatture false per 120 milioni ed evasione all’IVA per 40 milioni. Segnalati 23 soggetti all’A.G. per reati tributari

(351) La Guardia di Finanza di Ferrara ha individuato una milionaria frode all’IVA perpetrata sul territorio nazionale da svariate aziende “apri e chiudi”, tutte gestite da soggetti di etnia cinese, create al solo scopo di far figurare un apparente giro d’affari, in realtà inesistente, e consentire, attraverso le false fatture emesse a favore di altre aziende gestite da connazionali, di evadere il Fisco.

Le indagini coordinate dalla Procura ferrarese, hanno consentito di denunciare 23 soggetti, tutti di nazionalità cinese, resisi responsabili, a vario titolo, dell’emissione e dell’utilizzo di fatture inesistenti, attraverso l’uso strumentale di 22 società “cartiere”. L’illecito giro d’affari scoperto è di oltre 120 milioni di euro che ha generato un’evasione fiscale di circa 40 milioni di euro.

L’operazione “Wall Papers” condotta dalla Tenenza di Comacchio, ha portato alla luce un meccanismo illecito con l’utilizzo di imprese create solo sulla carta e con breve ciclo vitale, che vede coinvolte decine di aziende attive nel settore degli empori che collocano sul mercato merce varia (articoli per l’arredo e per la casa, accessori per l’auto, prodotti dell’elettronica di consumo, abbigliamento ecc.) a prezzi estremamente concorrenziali.

Le Fiamme Gialle ferraresi hanno ricostruito il complesso mosaico della frode, partendo da una verifica fiscale eseguita nei confronti di un esercizio commerciale del comacchiese, il cui titolare, un cittadino cinese ben radicato sul territorio, presentava alcune anomalie sui dati delle fatture ricevute dai fornitori che i finanzieri hanno estrapolato ed analizzato attraverso la consultazione delle banche dati in uso al Corpo. L’analisi condotta sugli elementi delle fatture d’acquisto, portavano gli investigatori ad individuare, anche attraverso i numerosi controlli incrociati effettuati in collaborazione con altri Reparti del Corpo dislocati in varie province e regioni, diversi fornitori, di fatto risultati delle “scatole vuote”, con partita IVA non più attiva, una vita media di 2/3 anni, prive di qualsiasi struttura imprenditoriale, con sedi inesistenti e, ovviamente, inadempienti a qualsiasi obbligo fiscale. Gli accertamenti hanno dimostrato, in sostanza, che la frode era stata ideata facendo leva sulle cc.dd. “imprese apri e chiudi”, create come “cartiere” per produrre, a ciclostile, false fatture destinate alle aziende realmente operanti nel settore del commercio a dettaglio, che le utilizzavano, ad arte, per abbattere il reddito imponibile da dichiarare ed ottenere, talvolta, rilevanti crediti di IVA nei confronti dello Stato per compensare le imposte da versare. Tale meccanismo ha consentito, anche alla società verificata, di poter essere fortemente competitiva sul mercato, praticando prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato a danno degli altri operatori di quel settore economico.

La ricostruzione della filiera delle imprese “apri a chiudi” utilizzate per alimentare il sistema di frode ha permesso di scoprire come il fenomeno, sia vasto ed articolato, e sempre attuale, con imprese pronte ad essere aperte e chiuse con a capo soggetti che di fatto risultano nullatenenti e irreperibili. Le 22 “cartiere” scoperte, risultano dislocate un po’ a macchia di leopardo, fra il Piemonte (Torino, Cuneo, Novara), la Lombardia (Milano, Varese, Lecco, Monza, Bergamo, Mantova), il Veneto (Treviso); l’Emilia-Romagna (Ferrara, Ravenna, Reggio Emilia), le Marche (Fermo), e il Lazio (Roma) e annoverano fra i loro clienti, numerose aziende, pronte a richiedere, senza alcuna remora, false fatture.

L’attività di contrasto all’evasione fiscale, anche in questo periodo emergenziale, non si pone dunque solo lo scopo di recuperare i tributi evasi, ma è volta soprattutto a incidere concretamente sulla diffusione dell’illegalità fiscale, finanziaria ed economica e sugli effetti negativi che questa produce per l’economia, alterando il normale gioco competitivo degli attori del sistema, e a tutelare, proprio, quelle imprese, quei professionisti e quei cittadini che operano nel pieno rispetto della legalità.

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Bari: Guardia di Finanza, operazione “Tutto incluso”. Associazione per delinquere finalizzata alle truffe assicurative, allo sfruttamento della prostituzione, al riciclaggio ed all’autoriciclaggio: eseguite 13 misure cautelari. Indagate 27 persone tra cui 5 avvocati

(328) In data odierna, il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Bari, la Polizia di Stato – Compartimento della Polizia Stradale Puglia e la Compagnia Carabinieri di Modugno hanno eseguito un’ordinanza – emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bari su richiesta di questa Procura – applicativa della misura cautelare personale nei confronti di 13 soggetti, di cui 2 in custodia cautelare in carcere (L.M. cl. 1983; F.S. cl. 1996), 5 (M.C. cl. 1985; G.M. cl. 1969; C.R. cl. 1983; M.V. cl. 1989; D.F. cl. 1986) agli arresti domiciliari, 1 (B.S. cl. 1994) con obbligo di presentazione alla P.G. e 5 (D.M. cl. 1984; C.F. cl. 1964; A.A. cl. 1975; F.P. cl. 1996; C.V. cl. 1992) con divieto di dimora. Contestualmente è stato effettuato il sequestro preventivo, disposto con il medesimo provvedimento, di disponibilità liquide e di beni per un valore di oltre 80.000 euro nei confronti del principale indagato (L.M. cl. 1983).

L’ordinanza cautelare si fonda su un compendio gravemente indiziario a carico dei predetti indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, peculato, simulazione di reato, calunnia, autocalunnia, falsa testimonianza, favoreggiamento personale, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, falsità materiale commessa dal privato, soppressione, distruzione e occultamento di atti veri, alterazione dello stato civile, fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona, riciclaggio e autoriciclaggio, commessi nel territorio nazionale nel periodo 2016 – 2019. Sono, complessivamente, 27 le persone indagate, di cui 5 avvocati del Foro di Bari.

Al vertice dell’associazione per delinquere si collocano soggetti residenti nella provincia di Bari, tra i quali un avvocato del Foro di Bari (G.M. cl. 1969) già indagato in passato, anche da questo Ufficio Giudiziario, per plurimi delitti contro il patrimonio.

Il presente procedimento penale è stato avviato a seguito di talune segnalazioni pervenute a questa Procura della Repubblica da diverse compagnie assicurative riguardanti presunte anomalie nella liquidazione di indennizzi conseguenti ad incidenti stradali, riconducibili al medesimo gruppo di persone e le cui vertenze legali sono state patrocinate dal medesimo avvocato del Foro di Bari. Le conseguenti investigazioni sono state svolte in piena sinergia operativa – con il coordinamento di questa Procura – dalle predette Forze di polizia che sono state impiegate, in considerazione delle rispettive specialità, in attività di intercettazione telefonica, in assunzioni testimoniali, in servizi dinamici di osservazione e pedinamento, in perquisizioni ed analisi della documentazione sequestrata, nonché in indagini finanziarie.

In particolare, le intercettazioni telefoniche effettuate dalla Guardia di Finanza e i conseguenti riscontri documentali eseguiti dall’Arma dei Carabinieri disvelavano sin dal principio l’esistenza di un’organizzazione criminale ben strutturata – con puntuale suddivisione di ruoli e compiti – dedita prevalentemente alle frodi in danno di società assicuratrici, nonché alla commissione di una pluralità di ulteriori delitti.

Il sistema truffaldino veniva attuato mediante la produzione di falsa documentazione sanitaria (certificati medici nonché prescrizioni di esami strumentali, di dispositivi ortesici e/o di prestazioni riabilitative artatamente attribuiti – mediante l’uso di timbri e firme falsificate – ad ignari medici privati ed ospedalieri), false testimonianze rese in occasione delle denunce dei simulati sinistri stradali (mai avvenuti, oppure avvenuti, ma falsati nelle dinamiche), la promozione dei corrispondenti giudizi civili (innanzi a diverse Autorità giudiziarie) con reclutamento e “addestramento” di testimoni compiacenti.

Addirittura tra i sinistri simulati sono emersi all’attenzione degli investigatori due incidenti che avrebbero determinato aborti in due donne appartenenti al gruppo criminale, in realtà intervenuti per altre cause. Per uno di essi questa Procura – in virtù di un protocollo d’intesa sottoscritto con l’Associazione Nazionale fra le Imprese assicuratrici (A.N.I.A.) – è riuscita ad impedire, grazie all’attiva collaborazione dell’ufficio antifrode della compagnia assicurativa interessata, la liquidazione di un risarcimento danni di euro 100.000,00 all’avvocato (G.M. cl. 1969) e alla sua cliente.

Dalle attività di indagine è, in più, emerso che la compagine criminale era attiva anche nel favoreggiamento e nello sfruttamento della prostituzione, inducendo o agevolando donne di varia nazionalità a svolgere l’attività di meretricio presso immobili nella propria disponibilità ubicati in Modugno (BA), Santeramo in Colle (BA), Trani (BAT) e Roma, adibiti a falsi centri massaggi (di cui 3 già sottoposti a sequestro) e fittiziamente concessi in locazione ad alcune Onlus. Nello specifico, l’organizzazione si occupava del reclutamento delle donne, dell’inserzione di annunci “hot” su siti internet, dell’ingaggio di centraliniste e telefoniste che prendevano appuntamenti con la clientela, della gestione dell’attività di meretricio e della riscossione dei proventi illeciti.

Inoltre, il promotore nonché organizzatore della compagine criminale (L.M. cl. 1983) – in qualità di pubblico ufficiale, perché designato quale amministratore di sostegno dal giudice tutelare (in diverse procedure di volontaria giurisdizione) – avendo, in ragione del suo ufficio, la disponibilità/gestione del denaro giacente sui conti correnti bancari e postali intestati alle persone a lui affidate, in condizioni di minorata difesa e ospiti di strutture socio-sanitarie residenziali, se ne appropriava indebitamente per un ammontare complessivo di circa 68.000 euro. In un caso, l’amministratore di sostegno continuava a percepire l’assegno previdenziale di una persona già defunta da oltre 2 anni.

Con l’ausilio del Compartimento della Polizia Stradale Puglia è stato, poi, possibile contestare anche le gravi ipotesi di reato di riciclaggio e autoriciclaggio di autovetture. Difatti, sempre il principale indagato (L.M. cl. 1983) trasferiva, in due circostanze, autoveicoli oggetto di simulato furto da Bari a Sofia, curandone poi la re-immatricolazione in Bulgaria, con assegnazione di nuova targa e certificazione bulgara, così da impedirne l’identificazione della provenienza delittuosa. Tali automezzi, peraltro, venivano anche reimpiegati in Italia da una società di riabilitazione motoria di diritto bulgaro, con sede in Sofia, riconducibile al suddetto indagato.

Infine, sempre il promotore nonché organizzatore della compagine criminale – pur consapevole di non essere il padre biologico di una bambina nata dalla relazione della propria moglie con un altro partecipe all’associazione per delinquere – dichiarava falsamente all’Ufficiale dello Stato Civile di essere il padre della neonata in sede di formazione del corrispondente atto di nascita e, così facendo, alterava lo stato di famiglia della minore rendendolo non conforme al reale rapporto di procreazione, con il consenso (ed il concorso morale) dei genitori naturali della piccola.

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