40° Earth Day: la Giornata Mondiale della Terra

altGrande appuntamento oggi 22 aprile con l’Earth Day, il giorno dedicato al nostro pianeta ed al rispetto della natura. Una data diventata per tutti il simbolo della sensibilità ambientale di massa. I movimenti ecologisti ne approfittano per tastare il polso dell’eco-sistema e promuovere la conservazione dell’ambiente in cui viviamo, sensibilizzando l’opinione pubblica e sollecitando un mutamento nei comportamenti individuali. Perché i primi passi partono proprio dal singolo, che deve ridurre gli sprechi, fare la raccolta differenziata e risparmiare energia. Il popolo dei riciclatori aumenta. Il 2009 è stata una buona annata: sono state “salvate” 89.283 tonnellate di carta, quasi 50 mila tonnellate di lattine e mezzo milione di tonnellate di plastica. La reincarnazione esiste: bastano solo ottocento lattine per costruire una “ricicletta”, la bicicletta riciclata. Ma davvero non si butta via niente: lampadine, vetro, alluminio, alghe e persino la buccia d’arancia, da cui viene ricavata la carta ecologica. Stiamo anche imparando a riusare il legno, risparmiando così le foreste e riducendo le emissioni di anidride carbonica.

Abbiamo acquisito la consapevolezza che non saranno di certo gli accordi internazionali a salvare il pianeta, ma una rinnovata coscienza collettiva. Ed è un regalo che noi uomini dobbiamo offrire alla Terra se vogliamo salvarla. In caso contrario, le sue risorse saranno destinate ad esaurirsi. Gli organismi delle Nazioni unite, i centri di ricerca e le accademie scientifiche da anni ammoniscono sugli effetti drammatici delle nostre politiche di sviluppo sull’eco-sistema terrestre. Basti pensare che, a causa delle attività umane, metà delle zone umide e delle foreste sono state perdute nel secolo scorso, il 58%  delle barriere coralline è gravemente compromesso, il 20% delle zone aride è prossimo alla desertificazione e le risorse d’acqua dolce hanno subìto una drastica riduzione.  L’Earth Day si basa saldamente sul principio che tutti, senza distinzione alcuna, hanno il diritto ad un ambiente sano e sostenibile. Nato il 22 aprile del 1970 per rispondere all’appello del senatore democratico Gaylord Nelson dopo il disastro petrolifero di Santa Barbara (allora si mobilitarono ben 20 milioni di cittadini americani per una spettacolare dimostrazione), oggi questo evento ha acquisito il carattere dell’internazionalità essendo riconosciuto da ben 190 Paesi. Organizzatore ufficiale della giornata è l’Earth Day Network, che in occasione del 40° anniversario ha voluto coinvolgere singoli cittadini ed organizzazioni ad impegnarsi personalmente a favore dell’ambiente, attraverso  la campagna “Miliardi di azioni verdi”. Il contatore ha già superato quota 5 milioni di eco-azioni. Ogni azione verde è gradita: c’è chi ha deciso di pagare le bollette on line invece che fare la fila alla posta, chi userà prodotti ecologici per la pulizia di casa, chi ha deciso di piantare un albero, chi invece si impegna a ridurre i propri consumi di acqua ed energia. In Italia l’evento è organizzato per il terzo anno consecutivo dal Nat Geo Music Live con un concerto gratuito a Roma al Circo Massimo a partire dalle 20 che vedrà esibirsi Pino Daniele e Morcheeba. Per combattere le emissioni di CO2 prodotte dal concerto verranno ripiantati nuovi alberi nell’area verde del Parco dell’Aguzzano a Roma e tutelate foreste in Madagascar. Oltre ai concerti a Roma, Genova e Bologna, sono in programma iniziative per raccogliere la carta nelle stazioni, concorsi per creare eco-imballaggi ed allettanti “swap party” (letteralmente “feste del baratto”), dove il riciclo ha un altro sapore.
Ē stata anche creata una internet action a livello mondiale, unica nel suo genere. La gestione di questa iniziativa multimediale, nata nel 2009 da un’idea di Simone Zuin blogger del Lago di Garda, è in mano a pochi ragazzi sparsi sul territorio nazionale che dialogano tra loro ed organizzano tutto il lavoro tramite rete. Ma la Giornata della Terra è anche un giorno significativo per i subacquei di tutto il mondo. Durante tutta questa settimana, infatti, la comunità subacquea raccoglierà immondizia e detriti dalle spiagge e sott’acqua, mentre l’Associazione dei Comuni Virtuosi, il Wwf, Italia Nostra, il Fai e l’Adiconsum lanceranno la settimana nazionale Porta la Sporta (dal 17 al 24 aprile) per incentivare l’uso della borsa riutilizzabile in sostituzione dei sacchetti in plastica e di quelli monouso quando si fa la spesa. A “impatto zero” sarà anche il numero di Topolino, in edicola questa settimana. Grazie all’adesione al progetto di “LifeGate”, il magazine Disney compenserà le emissioni di gas serra, generate dalla produzione di ogni copia, con la creazione e tutela di nuove foreste in Italia e nel mondo. Il numero di Topolino sarà “green” anche nei contenuti. Dalle favelas di Rio de Janeiro alle colline di Los Angeles, dalla Città Proibita di Pechino alle Piramidi egiziane, centinaia di milioni di persone in ogni angolo del pianeta saranno virtualmente unite per dare un messaggio forte contro i cambiamenti climatici e celebrare l’unica cosa che tutti abbiamo in comune, il nostro pianeta.

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Il dramma dell’aborto terapeutico

altAborto terapeutico. Quanti di noi ne hanno mai sentito parlare? Probabilmente in pochi e magari solo per averlo vissuto direttamente sulla propria pelle o indirettamente attraverso l’esperienza di persone che ci sono particolarmente care. Ma quanti sanno di cosa effettivamente si tratta e conoscono le implicazioni emotive che questa scelta dolorosa comporta? Tutti i genitori, però, nel momento in cui si accorgono di aspettare un bambino, superati la gioia e l’entusiasmo iniziale, si pongono la fatidica domanda: “sarà sano?”. Finiti i tempi in cui la maternità era un mistero e ci si affidava alla sorte, ai giorni nostri esistono tecniche che consentono di trovare una risposta adeguata al quesito attraverso le diagnosi prenatali. Nel caso in cui venga malauguratamente accertata una patologia grave, anche se i famosi 90 giorni per l’interruzione volontaria della gravidanza sono passati, si può comunque procedere con l’aborto terapeutico. Al di là di tutti i discorsi morali, non competendo infatti a noi giudicare in proposito, mi chiedo, da donna e da madre, quanto coraggio occorra per affrontare il travaglio psicologico derivante dalla decisione di proseguire o meno con la gravidanza a seguito di una diagnosi che sembra senza speranza. Ad alcuni potrà sembrare inopportuno o persino brutale l’uso del termine “travaglio” trattando l’argomento aborto terapeutico.

In realtà si tratta di una scelta ben ponderata. Vi chiedo ancora, infatti, quanti di noi sono al corrente che nel secondo trimestre di gravidanza l’aborto avviene per induzione del parto? L’esigenza del travaglio e del parto sono purtroppo motivate dalla impossibilità di procedere ad un raschiamento, essendo il bambino ormai troppo grande. L’aborto terapeutico è sicuramente un momento drammatico nella vita di una coppia e, paradossalmente, la struttura ospedaliera può renderlo ancora più traumatico. Spesso le donne che affrontano le procedure di interruzione della gravidanza ricevono dei soprusi ed il più delle volte non reagiscono, denunciando, perché il senso di colpa e la sofferenza per quel figlio malato le rende vittime di  quegli operatori che le considerano vittime di serie b ed in quanto tali non meritevoli del minimo rispetto. Raccogliamo, al riguardo, la testimonianza di Maria C., una madre che ha già abortito da diverso tempo e che, a tutt’oggi, non riesce a perdonarsi questo gesto. Maria C. condanna l’atteggiamento superficiale degli operatori sanitari che non l’hanno adeguatamente informata sui rischi connessi all’aborto terapeutico e sulla necessità di procedervi provocando prima il travaglio e poi il parto vero e proprio. Critica duramente l’averle fatto credere che la sua bambina sarebbe stata cremata salvo poi scoprire, recentemente, che il suo corpicino è stato in realtà smaltito tra i rifiuti speciali quasi fosse spazzatura. Queste omissioni e mezze verità l’hanno orientata verso una scelta falsata da condizionamenti troppo pesanti. Pubblichiamo, di seguito, la sua lettera non come atto di denuncia nei confronti degli operatori sanitari che, generalmente, lavorano con abnegazione e coraggio, ma come l’accorato appello di una madre che vuole ricordare a tutti coloro che lavorano in un ambiente asettico quale quello ospedaliero di non dimenticare, o peggio sottovalutare, l’importanza dei risvolti umani. “Sono una mamma spezzata dentro dal dolore per aver appreso, dopo nove anni, la vera fine che ha fatto la mia bimba. Racconto tutto dall’inizio: il 30 novembre del 2000, dopo aver avuto l’esito positivo dell’amniocentesi (esame che mi portò a scoprire che la mia bambina era affetta da Talassemia Major) fui indotta dal ginecologo a rivolgermi presso una struttura sanitaria fuori distretto. Così feci ed il 14 dicembre, dopo quindici lunghissimi giorni (la mia piccolina ha lottato tenacemente per vivere) durante i quali ho affrontato i rischi relativi alla setticemia in corso, i ripensamenti per la decisione presa (come mai i farmaci che mi venivano somministrati impiegavano tanto tempo a funzionare?) ed il travaglio, arriva alle ore 18 circa il momento del parto. Non riesco ad esprimere il devastante senso di svuotamento fisico e psicologico e la solitudine incolmabile che da allora mi accompagna. Nessuno mi aveva spiegato che l’aborto terapeutico al quinto mese di gestazione era un parto con tanto di rischi connessi. Dopo il parto mi fu chiesto di dare un nome alla mia bimba e che cosa volessi farne del corpicino. A quel punto, sola, incosciente di quanto stava realmente accadendo, stordita dall’anestesia e da quindici giorni di calvario, ho deciso di farla cremare nella convinzione che fosse la procedura normalmente seguita dall’ospedale. Per tutti questi anni ho creduto che le cose fossero realmente andate così. L’anno scorso, avendo elaborato il lutto e sentendomi finalmente pronta, mi sono adoprata per ricercare il posto dove era stata seppellita mia figlia e, dopo aver superato reticenze, tentennamenti ed ogni sorta di difficoltà, ho scoperto la nuda e cruda realtà: il corpicino di mia figlia è stato buttato insieme ai rifiuti speciali nella spazzatura. Le domande che mi pongo adesso sono: perché non è stata rispettata la mia volontà? Con quale leggerezza d’animo, con quale crudeltà, è stato compiuto quel gesto? Ho la consapevolezza che, se solo il personale ospedaliero mi avesse informato sull’effettiva fine della mia bimba, avrei fatto una scelta diversa. Adesso però la ferita si è riaperta ed ha ripreso a sanguinare e, nonostante sia madre di due splendide bimbe, il senso di vuoto attanaglia costantemente la mia anima perché sento mancare un tassello importante. Della mia bimba ho cristallizzato una sola immagine: è la stella più luminosa nell’immensità del firmamento, la seguo con lo sguardo e la sento viva nel mio cuore. Colgo l’occasione per rivolgere un appello a tutti i medici ed ai paramedici delle varie strutture ospedaliere. Lo devo alla mia bimba, a tutti i bimbi che hanno fatto la sua stessa fine ed a tutte le mamme che si apprestano a fare scelte dolorose piene di se e di ma. Vi supplico, siate chiari ed espliciti quando si presenta a voi una mamma che deve subire un aborto terapeutico; spiegatele nei minimi particolari ciò che dovrà affrontare; accompagnatela per mano nel momento più difficile e delicato della sua vita; ma, soprattutto, se la mamma od altro parente omettono di dirvi cosa fare del frutto dell’aborto, abbiate la sensibilità di preparare una cassettina (o anche un contenitore per rifiuti speciali come quello usato per la mia bimba) per mettervi il corpicino e farlo giungere al cimitero più vicino per essere seppellito, sia pure in una fossa comune. In tal modo consentirete alla madre, quando si sentirà finalmente pronta, di avere un posto dove andare a piangere o semplicemente deporre un fiore. Un grazie di cuore a tutta la redazione ed ai lettori.” Maria C..

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