Civitavecchia (Roma): ROAN Guardia di Finanza, i vaccini anti-Covid atterrano a Ponza e Ventotene. Avviata la campagna vaccinale sulle Isole Pontine (video) – IL REGGINO

(70) Il Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Civitavecchia è stato chiamato a collaborare nell’azione di contrasto alla diffusione dell’infezione globale da SARS-CoV-2.

Grazie all’impiego degli elicotteri della dipendente Sezione Aerea di Pratica di Mare, è stato effettuato il primo trasporto speciale delle dosi di vaccino anti COVID19 destinato agli abitanti delle Isole Pontine, fondamentale per poter avviare le somministrazioni vaccinali programmate dal Ministero della Salute nell’ambito della lotta alla pandemia in corso.

Nel pomeriggio del 28 febbraio u.s. un equipaggio del Corpo, a bordo di un elicottero AW139, è decollato dalla base di Pratica di Mare con il prezioso materiale, le fiale di vaccino appunto, che erano state consegnate loro, poco prima, da una pattuglia ATPI del Comando Provinciale G. di F. di Latina.

I militari pontini, infatti, hanno curato il trasporto dei vaccini “via terra”, assicurando che lo spostamento da Latina a Pratica di Mare avvenisse nelle tempistiche previste e, comunque, nel più breve tempo possibile, al fine di non eccedere il tempo massimo previsto di 6 ore dal momento del confezionamento del prodotto sanitario fino alla sua consegna finale.

Per preservare al meglio l’integrità delle dosi di vaccino trasportate, le medesime fiale sono state opportunamente cautelate, come da protocollo sanitario, in uno speciale contenitore refrigerato appositamente adibito per il trasporto “in sicurezza” dei sieri vaccinali.

L’attività si è svolta in stretta collaborazione tra la Guardia di Finanza e l’A.S.L. di Latina, competente anche per le Isole Pontine, sotto il coordinamento della locale Prefettura, che una volta ricevute le fiale ha potuto procedere con sollecitudine alla somministrazione da parte del proprio personale sanitario, ai residenti di Ponza e, grazie a successivi trasporti che verranno effettuati nei prossimi giorni sulle altre isole ponziane, con le medesime modalità realizzative, anche ai residenti di Ventotene.

Nella circostanza l’elicottero delle Fiamme Gialle ha supportato il Servizio Sanitario Regionale a garanzia e nell’interesse prioritario della salvaguardia della salute pubblica che, in un momento come questo di grande difficoltà causata dalla pandemia per l’infezione epidemiologica SARS-CoV-2, che non ammette ritardi.

Condividi sui social

Ragusa: Procura della Repubblica e Guardia di Finanza, favoreggiamento dell’immigrazione. Eseguiti perquisizione e sequestro nei confronti della società proprietaria del rimorchiatore “Mare Jonio” (video) – IL REGGINO

(69) Nell’ambito di un’ indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Ragusa per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di violazione alle norme del Codice della Navigazione, nella mattinata odierna, un gruppo interforze composto da personale del Nucleo PEF della Guardia di Finanza Ragusa, della Squadra Mobile della Questura di Ragusa, della Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza di Pozzallo, del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera di Pozzallo e del Nucleo Speciale di intervento del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, ha dato esecuzione ad un decreto di perquisizione personale e locale e sequestro nei confronti della società proprietaria ed armatrice del rimorchiatore “MARE JONIO” e di alcuni soggetti, C. G., C. L, M. A., M. P., risultanti esserne soci, dipendenti o amministratori, di fatto o di diritto.

I fatti che hanno portato all’emissione del provvedimento riguardano lo sbarco di 27 migranti avvenuto il 12.09.2020 nel porto di Pozzallo, da parte del rimorchiatore “MARE JONIO”, operante per conto della MEDITERRANEA SAVING HUMANS-APS.

I 27 migranti erano stati trasbordati in data 11.09.2020 dalla M/N MAERSK ETIENNE, battente bandiera danese, che 37 giorni prima li aveva soccorsi in mare a seguito di evento SAR disposto dallo stato di Malta ed era in attesa di indicazione di specifico P.O.S. (place of safety).

Le indagini fin qui svolte, corroborate da intercettazioni telefoniche, indagini finanziarie e riscontri documentali, hanno permesso di far emergere che il trasbordo dei migranti effettuato dall’equipaggio della “MARE JONIO” (senza nessun preventivo raccordo con le Autorità maltesi, competenti per l’evento SAR, o con quelle italiane ed apparentemente giustificato da una situazione emergenziale di natura sanitaria, “documentata” da un report medico stilato dal team di soccorritori imbarcatosi illegittimamente a bordo del rimorchiatore) è stato effettuato solo dopo la conclusione di un accordo di natura commerciale tra le società armatrici delle due navi, accordo in virtù del quale la società armatrice della M/N MARE JONIO ha percepito un ingente somma quale corrispettivo per il servizio reso.

Da questa mattina sono in corso a Trieste, Venezia, Palermo, Bologna, Lapedona (FM), Mazara Del Vallo (TP), Montedinove (AP) e Augusta (SR), le operazioni di polizia giudiziaria finalizzate a ricercare ed acquisire ogni elemento documentale e/o su supporto elettronico utile a comprovare i rapporti tra gli indagati e tra essi e la società danese armatrice della M/N MAERSK ETIENNE, nonché di eventuali altre società armatoriali.

Condividi sui social

Treviso: Guardia di Finanza, truffa e bancarotta fraudolenta per 6,6 milioni. Denunciate due persone – IL REGGINO

(68) Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Treviso hanno concluso un’indagine per truffa e reati fallimentari nei confronti di una società operante nel settore del commercio e della distribuzione di prodotti di digital technology, distributrice di prodotti di un notissimo brand statunitense.

L’investigazione, coordinata dalla Procura della Repubblica di Treviso e svolta dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, ha permesso di individuare una serie di operazioni aziendali, aventi l’unico fine di distrarre, anche tramite l’interposizione di società di diritto estero, il patrimonio aziendale della società fallita, con un danno per i creditori, esposti per oltre 16 milioni di euro.

L’amministratore dell’azienda, un sessantenne residente in provincia di Pisa, dopo aver pianificato la sua “uscita”, cedendo l’intera partecipazione a una società estera, al fine di sottrarsi alle responsabilità penali, ha fatto subentrare nella carica una improbabile “prestanome” (una trentenne, residente in provincia di Caserta, ex pasticciera e ora beneficiaria del reddito di cittadinanza), già titolare di altre società operanti nello stesso settore commerciale ma priva di qualsivoglia spessore imprenditoriale, riuscendo così a sottrarre alla società liquidità per 600 mila euro, beni aziendali e rimanenze di magazzino per oltre 6 milioni di euro, oltre a effettuare pagamenti “preferenziali” a vantaggio di alcuni creditori per 4,5 milioni di euro.

Nel corso delle indagini è emerso peraltro che l’amministratore, carpendo la fiducia di fornitori esteri che confidavano sulla solidità dell’azienda trevigiana, ha acquistato, con pagamento dilazionato in più soluzioni, prodotti informatici per oltre 3,5 milioni di euro. Dopo il pagamento della prima rata, però, le successive non venivano onorate, causando quindi un danno rilevante alle società straniere.

Ma anche diversi istituti di credito sono caduti vittime dei raggiri dell’uomo, che aveva studiato un sistema ingegnoso per accumulare illecitamente liquidità: egli infatti si è fatto concedere dalle banche oltre 2,8 milioni di euro a titolo di anticipazione sulle fatture emesse, salvo poi contattare i propri clienti, indicando loro di pagare le fatture con versamenti su conti correnti accesi presso istituti di credito diversi.

Con l’aggravarsi della situazione economica generale, le indagini sui reati fallimentari sono letteralmente “esplose”: solo nell’anno 2020, la Guardia di Finanza di Treviso ha concluso 70 operazioni, denunciando 140 persone e accertando distrazioni patrimoniali per oltre 400 milioni di euro.

Comando Provinciale della Guardia di Finanza 31100 Treviso, Piazza delle Istituzioni, 5/1 Telefono +39 0422.1913 Fax +39 0422.1913

Questi dati testimoniano la particolare attenzione delle Fiamme Gialle trevigiane e della locale Autorità Giudiziaria verso un tipo di illeciti particolarmente pericoloso per la solidità e la credibilità del sistema economico nel suo complesso. L’impegno della Guardia di Finanza è costante e mira alla tutela del mercato dei capitali, dell’economia legale e della corretta concorrenza tra le imprese.

Condividi sui social

Caltanissetta: Guardia di Finanza, inferto duro colpo a “Cosa Nostra” gelese. Sequestrati beni e società, per un valore complessivo di 68 milioni, a 3 imprenditori di Gela noti nel settore del commercio di autovetture ed in quello immobiliare (video)

(47) Il Tribunale di Caltanissetta, Sezione misure di prevenzione, su proposta avanzata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta ha emesso tre decreti di sequestro di beni ai sensi della normativa antimafia, nei confronti di LUCA Salvatore (70enne), LUCA Rocco (45enne) e LUCA Francesco Antonio (65enne), imprenditori gelesi noti nel settore immobiliare e soprattutto in quello della commercializzazione di autovetture, anche di lusso.

Le attività investigative che hanno portato all’adozione dei provvedimenti di sequestro sono state svolte da personale della D.IA. e della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Caltanissetta che in queste ore sta provvedendo a dare esecuzione ai provvedimenti di sequestro di prevenzione.

Gli imprenditori colpiti dall’odierna misura di prevenzione patrimoniale, attualmente indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, sono stati ritenuti soggetti di elevata e qualificata pericolosità sociale in ragione della loro contiguità e complicità con organizzazioni criminali riconducibili a cosa nostra. In particolare le attività investigative hanno fatto emergere una sorta di opportunismo affaristico con esponenti della famiglia mafiosa dei “RINZIVILLO”.

Le indagini di natura economico patrimoniale hanno fatto emergere il reinvestimento da parte degli indagati di ingenti capitali di illecita provenienza in numerose società, formalmente intestate ai famigliari dei predetti, attive nel settore dell’edilizia e della rivendita di autovetture.

Il provvedimento ablativo, valutato in 68 milioni di euro circa, trae origine dalle risultanze criminologiche compendiate nell’ambito di complesse e articolate attività investigative che sono state nel tempo coordinate dalla DDA della Procura della Repubblica di Caltanissetta e delegate sia alla D.I.A. che alla Guardia di Finanza nissena.

Le odierne attività investigative hanno comportato una meticolosa analisi dei rapporti economici tra i menzionati imprenditori ed appartenenti alle famiglie mafiose di Gela protrattisi per anni; invero già nel giugno del 2006, la DIA aveva effettuato un sequestro preventivo della concessionaria LUCAUTO S.r.l., nell’ambito dell’operazione “TERRA NUOVA 2”, ed aveva in quel contesto deferito all’A.G., per il reato di riciclaggio allora contestato con l’aggravante dell’art. 7 della L. 203/91, LUCA Salvatore e suoi familiari. Detto procedimento fu successivamente archiviato a seguito di una “pseudo collaborazione” del medesimo LUCA Salvatore che, nel frattempo, aveva riferito, ad altri uffici investigativi, di episodi estorsivi asseritamente subiti nel tempo tentando in tal modo di accreditarsi quale vittima della criminalità organizzata. Successive acquisizioni probatorie costituite dalle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia dell’area gelese, hanno consentito di far luce sulla reale natura dei rapporti tra i componenti della famiglia Luca e le organizzazioni mafiose operanti sul territorio.

Nel luglio del 2019, pertanto il G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Caltanissetta dava esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P . di Caltanissetta nell’ambito dell’operazione “CAMALEONTE”, nei confronti di LUCA Francesco Antonio, del fratello LUCA Salvatore, nonché del figlio di quest’ultimo, LUCA Rocco, tutti indagati per il delitto di cui agli artt. 110, 416 bis c.p. e altro in quanto “… pur non essendo stabilmente inseriti nel sodalizio mafioso denominato “Cosa Nostra” operante in Catania, Gela, Vittoria e territori limitrofi, concorrevano nell’associazione mafiosa suddetta contribuendo sistematicamente e consapevolmente alle attività ed al raggiungimento degli scopi di tale organizzazione mafiosa, e segnatamente della famiglia mafiosa di Gela (Rinzivillo ed Emmanuello)…” .

La provenienza mafiosa del capitale investito nella rivendita di automobili si affiancava a un vero e proprio “mercato del credito irregolare”, mediante il quale la famiglia LUCA è riuscita ad accaparrarsi una vasta platea di clienti; il sistema, artatamente costituito, prevedeva una dilazione, mediante assegni post-datati, per il pagamento delle autovetture che, in caso di insolvenza, venivano recuperate e registrate fittiziamente come noleggi; l’elevata capacità di intimidazione ha consentito di ridurre al minimo il rischio di insolvenza, presentandosi agli occhi dei malcapitati con le “diverse facce”, ora di commerciante disponibile, ora di operatore di recupero crediti inflessibile. Questo surrogato del circuito finanziario legale produce effetti negativi che ricadono nel tessuto dell’economia sana, incidendo sia sulla libertà d’impresa che sulle relazioni di concorrenza e ha consentito al gruppo LUCA di affermarsi come una delle concessionarie di autoveicoli di alta gamma di riferimento del sud Italia.

I profili criminologici degli odierni proposti, complessivamente acquisiti nell’ambito delle passate investigazioni, sono stati corroborati da accurati accertamenti economico-patrimoniali delegati dalla Procura nissena alla DIA e ai militari delle Fiamme Gialle, consentendo di ricostruire, riesaminare e riattualizzare la storia imprenditoriale “affaristica” di LUCA Salvatore, del figlio Rocco, nonché del fratello di Salvatore, LUCA Francesco Antonio, con ciò portando all’emissione dei provvedimenti di sequestro, emessi dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Caltanissetta, ritenendo in modo incontrovertibile la sfera imprenditoriale dei LUCA fortemente permeabile alla criminalità organizzata.

Le attività economiche e i beni oggetto del provvedimento de quo riconducibili ai suddetti LUCA sia direttamente che per interposte persone, identificate in altri appartenenti alla cerchia familiare, riguardano l’intero compendio aziendale, nonché il 100% delle quote del capitale sociale, delle seguenti società:

  • –  “LUCAUTO S.r.l.”, con sede in Gela (CL), in attività nel “commercio di autovetture”;
  • –  “CARLUCA S.r.l.”, con sede in Gela (CL), in attività nel “commercio di autovetture”;
  • –  “TERRANOVA IMMOBILIARE S.r.l.”, con sede in Gela (CL), in attività nella “locazione di immobili”;
  • –  “IMMOBILLUCA S.r.l.”, con sede in Gela (CL), in attività nella “compravendita di beni immobili”;
  • –  “LUCA IMMOBILIARE S.r.l. in liquidazione”, con sede in Busto Arsizio (VA), in attività nella “compravendita di immobili”;
  • –  “LUCA COSTRUZIONI S.r.l.”, con sede in Gela (CL), in attività nella “costruzioni di edifici”;
  • –  “MIRTO S.r.l.”, con sede in Gela (CL), in attività nella “costruzioni di edifici”.

Inoltre, l’odierna misura di prevenzione ha riguardato anche:

  • l’intero compendio aziendale e n. 3 quote societarie (pari al 95% del capitale sociale) della “GINEVRA IMMOBILIARE S.r.l.”, con sede in Gela (CL), in attività nella “locazione di immobili”;
  • l’intero compendio aziendale e n. 2 quote societarie (pari al 90% del capitale sociale) della “LUCA IMMOBILIARE S.r.l.”, con sede in Gela (CL), in attività nella “compravendita di immobili”;
  • n. 1 quota societaria (pari al 10% del capitale sociale) della “OIKOS S.r.l.”, con sede in Gela (CL), avente per oggetto l’attività di “alberghi e ristoranti”;
  • n. 40 terreni siti in Gela (CL) – di cui 25 facenti parte dei predetti compendi aziendali;
    n. 192 fabbricati siti in Gela (CL), Marina di Ragusa (RG) e Vittoria (RG), di cui 142 facenti parte dei predetti compendi aziendali;
    n. 47 rapporti bancari, finanziari e/o polizze assicurative.

Condividi sui social

Torino: Guardia di Finanza, scoperta evasione fiscale milionaria. Denunciate 4 persone ed eseguito il sequestro di immobili, un terreno e disponibilità finanziarie (video)

(46) Nei giorni scorsi, la Guardia di Finanza di Torino ha concluso un’indagine di polizia economico finanziaria che ha disvelato un’evasione fiscale milionaria, supportata dall’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con il sequestro di immobili, un terreno e disponibilità su conti correnti e la denuncia, per reati tributari, di 4 soggetti.

Le investigazioni, durate oltre un anno, sono state condotte dai finanzieri del Gruppo Orbassano, coordinati dal Sostituto Procuratore, Dott.ssa Virginie Tedeschi, della Procura della Repubblica del capoluogo piemontese, ed hanno tratto origine dall’individuazione, nell’ambito di altra attività operativa, di cospicui prelievi in contanti da parte di un imprenditore dell’hinterland torinese, effettuati a seguito di numerosi bonifici ricevuti da tre rappresentanti legali di società, tutte operanti nel settore della produzione di componentistica per auto.

Sulla base di tali riscontri, gli inquirenti hanno avviato più penetranti accertamenti che hanno consentito di portare alla luce un collaudato sistema di frode imperniato su di una società risultata, di fatto, inesistente in quanto priva di una sede effettiva nonché di strutture organizzative e mezzi aziendali, il cui unico “ruolo” era quello di emettere fatture per operazioni inesistenti a favore di tre imprese attive nel medesimo comparto economico, con il solo fine di consentire a queste ultime di evadere le imposte attraverso l’utilizzo dei documenti fiscali falsi per beneficiare, indebitamente, dell’abbattimento dei ricavi e della detrazione della correlata IVA.

Le Fiamme Gialle hanno, altresì, scoperto che a fronte delle fatture fittizie emesse dalla società “cartiera”, le aziende destinatarie delle stesse procedevano ad effettuare i relativi pagamenti mediante bonifici bancari al solo scopo di dare una parvenza di regolarità alle operazioni, di fatto mai avvenute, salvo poi ricevere successivamente, in contanti, la restituzione delle somme versate.

Al termine delle indagini, è stato accertato l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per oltre 7 milioni di euro e 4 persone sono state denunciate alla locale Procura della Repubblica, a vario titolo, per le ipotesi di reato di omessa dichiarazione, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e occultamento di scritture contabili.

Inoltre, attese le responsabilità penali individuate in capo agli indagati, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Torino ha emesso un decreto di sequestro preventivo fino a concorrenza di euro 1,6 milioni, pari al profitto generato dalle fattispecie delittuose perpetrate, la cui esecuzione ha permesso di sottoporre a cautela reale disponibilità finanziarie per oltre 250 mila euro, 9 immobili e un terreno.

L’attività di servizio condotta dalla Guardia di Finanza s’innesta nell’alveo del più ampio dispositivo di polizia economico-finanziaria approntato dal Corpo a contrasto delle frodi fiscali e delle forme di evasione più gravi, a salvaguardia del bilancio dello Stato e degli imprenditori onesti, aggredendo, al contempo, i patrimoni illecitamente accumulati.

Condividi sui social

Roma: Guardia di Finanza, operazione “Manila”. Fiumi di droga dal Marocco, arrestati 14 narcotrafficanti (video)

(45) Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale capitolino, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, nei confronti di 14 persone indagate per associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

Gli specialisti del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria hanno smantellato una strutturata gang dedita all’importazione di ingenti quantitativi di droga – in prevalenza hashish – dal Marocco tramite la Spagna, con lo scopo di rifornire le piazze di spaccio della Capitale.

L’organizzazione criminale, promossa e diretta da due soggetti di origine calabrese, IERACI Fortunato (classe 1983) e PICCOLO Danilo (classe 1986), unitamente a un sodale romano, che si occupava della parte esecutiva e logistica con l’ausilio di FARINELLI Fabio (classe 1973), si rivolgeva a ROMEO Antonio (classe 1985) – vero e proprio “broker” del narcotraffico spesso in trasferta in Spagna – per gli approvvigionamenti di stupefacente.

I carichi illeciti giungevano in Italia – occultati tra pallet di verdura trasportati da autoarticolati – presso le sedi di due società romane operanti nel settore degli autotrasporti e del commercio di materiali edili, i cui titolari, UMBRO Gennaro (classe 1979) e CHIODI Massimo (classe 1960), mettevano a disposizione, dietro compenso, spazi e attrezzature per le operazioni di scarico. La droga era poi custodita da altri sodali in vari luoghi che venivano periodicamente cambiati, quali garage e appartamenti in condomini residenziali, nonché nell’abitazione di un incensurato romano con giardino e due cani pitbull a fare la guardia.

Durante le investigazioni sono stati arrestati in flagranza 3 soggetti e sequestrati quasi kg. 400 di hashish, oltre kg. 120 di marijuana e circa kg. 3 di cocaina, nonché sofisticate attrezzature necessarie per allestire una serra indoor.

In un’occasione, nel tentativo di disfarsi della sostanza custodita in casa all’atto dell’intervento dei Finanzieri, la marijuana è stata gettata negli scarichi domestici, determinando l’ostruzione delle tubature di un intero palazzo. Dopo qualche ora, l’inquilino dell’appartamento sottostante ha contattato la caserma delle Fiamme Gialle per segnalare che dagli scarichi del proprio bagno fuoriusciva una strana sostanza verdastra.

Inoltre, le informazioni acquisite mediante le intercettazioni e i riscontri operati in loco dalla Guardia Civil spagnola – che ha fornito una preziosa collaborazione durante tutte le fasi investigative – hanno consentito di individuare e arrestare in Spagna, nel mese di marzo 2020, un latitante italiano, successivamente estradato in Italia.

Dagli approfondimenti svolti, infine, è emerso che 4 soggetti – oggi arrestati – percepivano, direttamente o in quanto inclusi nel nucleo familiare dei beneficiari, il “reddito di cittadinanza”, motivo per cui saranno interessati gli uffici dell’I.N.P.S. per la sospensione/riduzione della misura di sostegno economico.

Le azioni di contrasto assicurate nel corso delle indagini, culminate nell’esecuzione dell’odierno provvedimento cautelare, testimoniano l’impegno quotidiano della Procura della Repubblica e delle Fiamme Gialle di Roma nella tutela della legalità e nel contrasto ai traffici illeciti.

Condividi sui social

Messina: Guardia di Finanza, arrestato imprenditore agricolo contigua a pericolosi esponenti della criminalità organizzata mafiosa dei Nebrodi e coinvolto in un’articolata frode all’INPS ed all’AGEA (video)

(44) I Finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dell’imprenditore agricolo L.D. cl. 63, risultato contiguo ad esponenti della criminalità organizzata operante nell’area dei Nebrodi ed accusato, in concorso con altri, dell’indebita percezione di finanziamenti pubblici e prestazioni assistenziali e previdenziali riconducibili al cosiddetto “falso bracciantato agricolo”, nonché innumerevoli ipotesi di falso.

Il provvedimento eseguito in data odierna è l’evoluzione dell’Operazione LADYBUG, dal nome della principale società coinvolta, condotta dalle Fiamme Gialle della Tenenza di Patti e che, nel dicembre scorso, aveva già portato al sequestro preventivo, disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina, di beni per un valore di circa 1,5 milioni di euro.

In particolare, il provvedimento ablativo all’epoca eseguito risultava l’epilogo di un’articolata attività d’indagine, sviluppata dai Finanzieri pattesi, che aveva consentito di stroncare un rodato meccanismo illecito, grazie al quale diverse centinaia di lavoratori avevano indebitamente conseguito le indennità assistenziali e previdenziali destinate al settore agricolo, con la fuoriuscita dalla casse dell’INPS di oltre 550.000 Euro.

Nel medesimo ambito, lo schema criminogeno ideato era risultato servente anche all’illecita percezione di altri contributi pubblici, ammontanti a circa mezzo milione di Euro, concessi dall’A.G.E.A. per migliorare le strutture aziendali agricole operanti nell’area dei Nebrodi.

Nel merito, nella frode scoperta, risultarono implicate ben 15 società che, sistematicamente, erano risultate dedite all’utilizzo strutturato di fatture “gonfiate”, al solo fine di dimostrare ai due enti pagatori, l’Ispettorato dell’Agricoltura di Messina e l’A.G.E.A., spese asseritamente riferibili alla realizzazione di lavori agricoli, in realtà mai sostenute.

I reati contestati agli indagati, in concorso tra loro, vanno dal falso commesso in atto pubblico sino alla truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche e la truffa ai danni dell’INPS.

A far scattare l’odierna misura cautelare personale, invece, sono state le determinanti dichiarazioni rese da due recenti collaboratori di giustizia, M.G.G. cl. 71 e C.Z.S. cl. 82, entrambi raggiunti dall’ordinanza di misura cautelare in carcere nell’ambito della maxi Operazione Nebrodi che, nel decorso gennaio 2020, ha portato la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina a disporre l’esecuzione di 94 ordinanze di custodia cautelare per associazione a delinquere di stampo mafioso, con il contestuale sequestro di oltre 150 aziende, in virtù dell’acclarato interesse dei due gruppi mafiosi all’epoca investigati – il clan dei tortoriciani ed il clan dei batanesi – proprio per il controllo e l’illecita percezione di ingenti contributi comunitari concessi dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Ag.E.A.).

Più in particolare, proprio i nominati collaboratori, appartenenti alla famiglia mafiosa dei batanesi, dopo aver deciso di cambiare vita, tra novembre 2020 ed il recente gennaio 2021, rendevano importantissime dichiarazioni ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, anche autoaccusatorie, che supportavano le ipotesi di reato già acclarate a valle della poderosa attività d’indagine, nonché consentivano di fare piena luce sulle dinamiche criminali della complessa e delicata area dei Nebrodi.

Per quanto di rilievo agli odierni fini, oltre ad attestarne l’operatività criminale sino ai recenti anni 2018 e 2019, il collaboratore M.G.G. cl. 71 confermava la vicinanza dell’odierno imprenditore arrestato L.D. cl. 63 agli ambienti mafiosi locali, talché riferiva come lo stesso si fosse rivolto proprio al notissimo pregiudicato mafioso B.S. cl. 72 detto “il biondino” per recuperare manovalanza da impiegare quali fittizi braccianti agricoli su terreni di sua proprietà.

Tale richiesta trovava immediata conferma, tale che veniva fittiziamente assunta come bracciante agricola anche la C.Z.L. cl. 75, moglie del “biondino”, solo per fargli percepire, illecitamente, le indennità spettanti ai braccianti agricoli.

Parimenti, lo stesso M.G.G. cl. 71, oltre ad essere egli stesso un “falso bracciante agricolo”, tanto da percepire direttamente in carcere gli illeciti emolumenti percepiti, riferiva come analoga qualità fosse riferibile a diversi suoi familiari.

Dichiarazioni di pari tenore venivano poi rese anche dal collaboratore C.Z.S. cl. 82, il quale confermava quanto già acquisito.

In conclusione, il già compromesso quadro probatorio, ulteriormente aggravato dalle dichiarazioni dei citati collaboratori di giustizia, ha quindi consentito al G.I.P. del Tribunale di Messina, su richiesta della Procura della Repubblica di Messina, a disporre nei confronti dell’indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari.

L’odierna operazione, che ha visto l’impiego degli specialisti del G.I.C.O. di Messina in supporto ai militari della Tenenza di Patti, conferma ulteriormente quanto sia alta la soglia di attenzione della Procura della Repubblica di Messina e della Guardia di Finanza nei confronti di un territorio, quale quello dei Nebrodi, significativamente minato dalla pervasiva presenza di strutturate organizzazioni criminali, vieppiù di matrice mafiosa. Tale attenzione, peraltro, è perfettamente aderente a più ampie direttive operative emanate dall’Autorità di Vertice della Guardia di Finanza, per il controllo della spesa pubblica, a contrasto delle truffe e degli sprechi di denaro pubblico, col duplice obiettivo di consentire, da un lato, un utilizzo trasparente ed efficiente dei finanziamenti nazionali e comunitari, arginando efficacemente la diffusione dell’illegalità e, dall’altro, di salvaguardare i tanti imprenditori onesti di un settore così vitale per l’economia locale.

Condividi sui social

Brescia: Guardia di Finanza, arresti un professionista e due pubblici funzionari per corruzione ed accesso abusivo alle banche dati istituzionali

(39) Il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di finanza di Brescia, coordinato dalla locale Procura della Repubblica, sta eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un professionista, quale privato corruttore, già in carcere nell’ambito della recente Operazione “Nuova evasione continua”, nonché due misure degli arresti domiciliari nei confronti di due funzionari pubblici, dipendenti uno dall’INPS e l’altro dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Dalle indagini di polizia giudiziaria, sono emersi ripetuti scambi di favori indebiti consistenti nel ricevimento di benefit di varia natura, a fronte della commissione di atti contrari ai doveri d’ufficio, quali ripetuti accessi abusivi alle rispettive banche dati istituzionali e rivelazione di informazioni attinenti a pendenze tributarie e previdenziali di numerose società.

Il professionista corruttore si è prestato consapevolmente a fornire le proprie conoscenze e il proprio servizio in favore di terzi, anche al fine di commettere frodi fiscali grazie ai “favori” ottenuti dai pubblici ufficiali.

In relazione a tali risultanze investigative, il G.I.P. del Tribunale di Brescia ha emesso le misure cautelari sopra richiamate.

 

Condividi sui social

Guardia di Finanza: operazione “Teledark”. Oscurati 6 canali Telegram che vendevano on-line sostanze stupefacenti (video)

(37) Il Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanza, a seguito di un attento monitoraggio e attività di analisi svolte nel mondo del Dark Web e delle piattaforme di messaggistica online, ha individuato, sul social media “Telegram”, un canale dedicato alla vendita di sostanze stupefacenti e documenti falsi. Sulla base di apposite tecniche di Open Source Intelligence (Os.Int.), è stato isolato un network, denominato “Teledark”, costituto da vari gruppi e canali Telegram che contavano circa 20.000 utenti iscritti e quindi potenziali acquirenti.

Più in dettaglio, è stato appurato che il canale @Teledark_net consentiva la navigazione verso ulteriori 5 risorse Telegram e precisamente @Wwcandyshop, gruppo con foto, video, listino prezzi ed aggiornamenti relativi alla merce disponibile, @Teledark2020bot, bot (applicazione automatica di esecuzione comandi predefiniti) che restituisce i link di accesso alle risorse Telegram correlate e funzionali al network Teledark, @Teledark_adsbot, bot utilizzato per la pubblicazione degli annunci di vendita all’interno di @wwcandyshop, @worldwidecandyshop, gruppo con foto e video delle sostanze stupefacenti in vendita, @Teledark_italia, canale del network rivolto ad utenti italiani. Tali risorse consentivano la vendita di sostanze stupefacenti o psicotrope (Cocaina, Eroina, Hashish, Marijuana, Ketamina, MDMA, Ecstasy, LSD, Funghi allucinogeni) e documenti falsi (documenti di identità e patenti di guida europee).

Tenuto conto della possibilità che i canali Telegram individuati potessero continuare a svolgere i traffici illeciti e sussistendo il pericolo, concreto ed attuale, che i potenziali acquirenti continuassero a trovare l’opportunità di approvvigionarsi della merce illegale posta in vendita, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Roma, sono state avviate le procedure tendenti alla chiusura delle risorse informatiche coinvolte.

Sulla base degli elementi raccolti, la Procura della Repubblica di Roma ha quindi richiesto il sequestro preventivo dei canali Telegram individuati, sequestro che è stato disposto dal Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma. I canali illegali in argomento sono stati dunque posti sotto sequestro mediante oscuramento e resi pertanto inoperativi, ponendo termine all’attività delittuosa.

Il mondo delle piattaforme di messaggistica istantanea e del Dark Web, anche grazie all’utilizzo di “nickname” e tecnologie che mascherano la reale identità degli utenti, può celare anche comunicazioni o scambi di natura illecita. Considerando la peculiarità della merce posta in vendita, tale semplicità di utilizzo rende estremamente pericolosa la risorsa in questione, poiché si rivolge ad una vastissima platea di acquirenti e venditori, essendo accessibile da soggetti di qualsiasi età provenienti da tutto il mondo.

Peraltro, gli investigatori delle Fiamme Gialle hanno potuto appurare come durante la crisi pandemica, che ha imposto limitazioni agli spostamenti delle persone, si sia registrato un notevole aumento dell’acquisto on-line di sostanze stupefacenti, con incrementi superiori anche del 30% rispetto alla situazione precedente.

L’attività svolta conferma l’impegno della Guardia di Finanza nella salvaguardia della legalità in rete e nel contrasto al pericoloso commercio di sostanze stupefacenti.

Condividi sui social

Rovigo: truffa e riclicaggio. Sequestrati immobili e quote societarie per 14 milioni, 17 gli indagati (video)

(36) Il Nucleo Polizia Economico-finanziaria di Rovigo ha dato esecuzione, con la collaborazione di vari reparti del Corpo attivati a livello nazionale, ad un decreto di sequestro preventivo emesso dal Tribunale di Rovigo, su richiesta della locale Procura della Repubblica – Sost. dr. Mammucci e Sost. dr. Bigiarini – di un rilevante patrimonio immobiliare illecitamente accumulato con una serie di truffe milionarie perpetrate attraverso falsi finanziamenti.

Sono così stati sequestrati 23 fabbricati e 22 terreni per un valore complessivo di 13.523.000 euro, dislocati nei Comuni di Roma, Torino, Venezia, Trapani, Schio, Vercelli, Treviso nonché le quote societarie di 6 società per un valore di euro 536.100.

Diciassette i soggetti indagati a vario titolo per truffa, riciclaggio ed autoriciclaggio, di cui cinque di nazionalità estera.

Il Tribunale di Rovigo ha nel contempo provveduto alla nomina di un amministratore giudiziario che si occuperà della gestione dei numerosi beni e delle quote sottoposte a vincolo ablativo.

Il meccanismo fraudolento, attuato dal 2018 ad oggi in modo reiterato e sistematico, prevedeva l’avvicinamento di imprenditori o privati bisognosi di finanziamenti, prospettando ad essi la stipula di contratti di finanziamento in Bulgaria, difficilmente reperibili in Italia visti i rigorosi protocolli bancari.

Successivamente le vittime venivano condotte fisicamente in Bulgaria in compagnia dei broker ove venivano indotte frettolosamente a sottoscrivere tali contratti (spesso in lingua bulgara o inglese) o a firmare cambiali e stipulare atti presso notai.

In realtà, la sottoscrizione di tali documenti afferiva procure speciali a vendere tramite cui gli autori del reato potevano alienare i beni delle vittime attraverso “regolari” atti di vendita presso notai italiani e avveniva previa acquisizione di quote societarie di società inglesi o bulgare, ove venivano conferiti i beni oggetto di truffa, prospettando finalità di investimento e di accrescimento del proprio valore immobiliare; i beni confluivano poi in un GEIE (Gruppo Europeo di interesse economico) con sede nel bolognese.

In sostanza, attraverso vari passaggi negoziali, le vittime perdevano sia la titolarità delle società alle quali venivano conferite le proprietà che dei beni stessi. All’esito della spoliazione, perpetrata mediante queste condotte mascherate da raffinate operazioni finanziarie venivano poi operate ulteriori alienazioni dei beni ovvero delle quote societarie delle società interessate, in modo da frapporre ostacoli all’identificazione della provenienza delittuosa dei beni medesimi e di evitare che le proprietà rimanessero sempre sotto la sfera di influenza degli artefici della frode.

E’ proprio il passaggio dei beni provento di truffa nei vari GEIE e trust a configurare in capo a taluni dei partecipi la grave condotta di riciclaggio ed autoriciclaggio.

L’attività rappresenta il coronamento e l’epilogo di lunghi mesi di indagine e si colloca nel quadro delle funzioni di polizia economico finanziaria del Corpo finalizzate al contrasto dei meccanismi di frode più dannosi che generano danni alla collettività e agli imprenditori onesti attraverso l’inquinamento dell’economia legale.

Condividi sui social

Pavia: Guardia di Finanza, scoperta maxi truffa nel settore delle energie rinnovabili. 11 persone colpite da misure cautelari, sequestrati beni per oltre 140 milioni (video)

(22) A seguito delle indagini condotte da questo Ufficio con il coordinamento del Procuratore Aggiunto dott. Mario Venditti e del Sostituto Procuratore Paolo Mazza, la Guardia di Finanza e i Carabinieri di Pavia stanno eseguendo, dalle prime luci dell’alba, n. 11 misure cautelari personali (6 arresti domiciliari e 5 obblighi di firma) e oltre cinquanta perquisizioni in diverse Regioni del Centro-Nord (Trentino – Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emila Romagna, Sardegna, Lazio). L’operazione che vede impegnati più di 200 militari, di Pavia, sta sradicando un’organizzazione criminale che dal 2012 ad oggi ha frodato oltre 143 milioni di Euro di contributi pubblici.

Durante queste ore le Fiamme Gialle stanno sequestrando, come disposto dal GIP del Tribunale di Pavia, 69 rapporti bancari, 22 quote societarie di altrettante società del gruppo del valore di circa 19 milioni di euro, 147 fra veicoli, immobili e terreni del valore di oltre 12 milioni di euro, tra cui un prestigioso appartamento nel cuore di Milano, una villa di pregio con piscina vista mare sita in Portobello di Gallura (SS) e una villa in collina sita in Galbiate (LC) oltre all’intera centrale elettrica del valore di circa 70 milioni.

Tutto nasce quando, nel 2011, per aderire al protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici e per rispettare gli impegni assunti dall’Italia a livello internazionale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, sono stati introdotti specifici incentivi economici per l’uso di energia da fonti rinnovabili, tra cui, le biomasse legnose.

La legge, però, subordina tale incentivo economico all’utilizzo di legname proveniente da un razionale e corretto sfruttamento dei boschi che assicuri di preservare il loro naturale ciclo vitale e, per tale motivo, impone rigide regole sulla provenienza e sulla tracciabilità delle biomasse bruciate. Ma la nobile finalità di contribuire alla riduzione dell’emissione dei gas serra, pur preservando il patrimonio boschivo nazionale, non sembrava interessare i vertici della BIOLEVANO che, invece, erano proiettati ad accaparrarsi fraudolentemente gli ingenti incentivi statali. E si trattava di contributi estremamente allettanti!

Per dare un ordine di grandezza basti osservare che per ogni milione di euro di energia venduta, la BIOLEVANO percepiva dal Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) oltre 3 milioni di euro di contributi, ovvero, il massimo degli incentivi possibili! Questo cospicuo incentivo, come risulta dall’accordo siglato nel 2012 tra la BIOLEVANO e il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MIPAF), era possibile solo perché la BIOLEVANO si era impegnata a utilizzare esclusivamente legname tracciato, certificato e proveniente da zone limitrofe all’impianto (max 70 Km).

Ma era un impegno solo sulla carta, poiché, attraverso una fitta rete di complici, i vertici della BIOLEVANO acquistavano qualunque tipo di legname ovunque reperibile (a volte anche all’estero) purché al minor prezzo possibile! Assicuratasi la materia prima ad un prezzo nettamente inferiore ai propri competitors (dal 30% al 50% in meno) per far risultare il legname di provenienza locale e tracciato ai vertici della BIOLEVANO bastava falsificare le carte, cioè, falsificare i documenti di trasporto e le fatture. Con tali artifizi e raggiri gli odierni arrestati sono riusciti a frodare negli ultimi cinque anni contributi per oltre 143 Milioni di Euro. Soldi erogati dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ma in ultima analisi prelevati dalle tariffe delle bollette elettriche pagate da tutti noi cittadini, attraverso una specifica voce in bolletta a sostegno delle energie rinnovabili.

L’indagine partita nell’ottobre del 2019, sulla base di un’attività di intelligence della locale Sezione di P.G. presso la Procura, poi sviluppata insieme alla Compagnia Guardia di Finanza Pavia, ha consentito di disvelare questo sistema di frode impernato, in ultima analisi, sulla falsificazione di documenti di trasporto e fatture. E’ stato dimostrato come la centrale elettrica, appena raggiunto il pieno regime di funzionamento, abbia sistematicamente ed illegalmente acquistato legname e biomasse non tracciate e ubicate ben oltre i 70 km di distanza previsti dalla normativa di settore, approvvigionandosi da fornitori non abilitati a certificare il prodotto, da aziende di trasformazione del legno non rientranti negli accordi quadro e da commercianti anche esteri.

Tra le centinaia di carichi attenzionati in fase di indagine i militari della Guardia di Finanza, a solo titolo esemplificativo, hanno accertato come parte del legname “falsamente tracciato ed a km zero” provenisse dalla Svizzera e come, molti degli autisti di biomassa, viaggiassero persino con due documenti di trasporto: uno vero con provenienza non incentivabile che veniva distrutto non appena il carico arrivava nei pressi dell’impianto e uno falso redatto ad hoc che veniva conservato agli atti per dimostrare agli ispettori del ministero che tutto era regolare.

Il ruolo di principale promotore di tale frode lo ha avuto T.P.F. cl. 1949 al quale si sono affiancati, C.F.B. cl. 1951 per la gestione amministrativa della centrale energetica e C.A. per quella commerciale. Sul fronte dei fornitori di legname, le attività investigative, durate circa 1 anno, hanno permesso di individuare, per gli anni che vanno dal 2012 al 2019, altri tre soggetti, amministratori di società che, in associazione tra loro e con i vertici della centrale elettrica, si sono adoperati affinché la stessa potesse ottenere fraudolentemente il massimo contributo statale disponibile.

Le perquisizioni e i sequestri della copiosa documentazione e dei supporti informatici che le fiamme gialle stanno eseguendo in queste ore, potrebbero portare ad ulteriori sviluppi investigativi in relazione ad aspetti ancora da chiarire circa la reale provenienza e qualità di alcune partite di materiale conferite presso gli impianti della Biolevano. Parimenti saranno eseguiti mirati accertamenti sia di natura documentale che attraverso l’acquisizione di informazioni, al fine di individuare ulteriori figure, fisiche e giuridiche che, nel corso degli anni si sono occupate di eseguire perizie agronomiche finalizzate alla quantificazione della biomassa presente nella c.d. “filiera corta” locale.

La Guardia di Finanza ed i Carabinieri, coordinati dalla locale Procura della Repubblica, confermano così il costante e incisivo impegno a tutela del mercato, dei cittadini e degli imprenditori onesti in linea con le strategie d’azione del Corpo della Guardia di Finanza, volte a rafforzare il contrasto ai fenomeni illeciti più gravi e insidiosi, integrando le funzioni di polizia economico-finanziaria con le indagini di polizia giudiziaria e garantendo il perseguimento degli obiettivi di aggressione dei patrimoni dei soggetti dediti ad attività criminose, al fine di assicurare l’effettivo recupero delle somme frutto, oggetto o provento delle condotte illecite.

Condividi sui social

Viareggio (Lu): Guardia di Finanza, varo dell’unità navale P.V. 10 “Tenente Petrucci” (video)

(20) Nella mattina del 26 gennaio 2021 presso il porto di Viareggio, alla presenza del Comandante Generale della Guardia di Finanza, Gen. C.A. Giuseppe Zafarana, è stato varato il nuovo Pattugliatore Veloce della Guardia di Finanza P.V.10 “Tenente Petrucci”.

Il Tenente Franco Petrucci, vittima del terrorismo, fu ucciso nell’attentato dinamitardo di “Malga Sasso”, nel comune di Brennero (BZ), il 9 settembre 1996, unitamente ad altri due finanzieri.

Il Pattugliatore è stato realizzato dal Cantiere Effebì Overmarine di Carrara – Avenza, secondo un innovativo progetto sviluppato in collaborazione con la Guardia di Finanza la quale, grazie a questa nuova unità navale, sarà in grado di integrare il proprio dispositivo di contrasto ai traffici illeciti e migliorare il contributo nelle operazioni di cooperazione internazionale sotto l’egida dell’European Border and Coast Guard Agency – Frontex, nel cui ambito il Corpo ricopre il ruolo esclusivo del coordinamento tattico.

Il Petrucci è:

  •  la prima unità di una nuova e modernissima classe la cui realizzazione è cofinanziata dall’Unione Europea nell’ambito del Fondo Sicurezza Interna;
  • un concentrato di innovative tecnologie ed esprime lo stato dell’arte nelsettore, connotandosi per elevata sicurezza e versatilità di impiego.

Dal punto di vista tecnico, l’unità è lunga 44 metri e sviluppa una velocità massima di 45 nodi, grazie ad una propulsione ad idrogetti e a 4 motori “MTU” da 2600 HP. Ha un equipaggio composto da 22 membri, un’autonomia di circa 700 miglia alla massima velocità, può ospitare a bordo personale di collegamento Frontex nonché eventuali naufraghi con una capienza massima di 150 persone.

Altresì, la nave ha una zona dedicata all’utilizzo di sistemi a pilotaggio remoto (S.A.P.R.) per implementare la capacità di scoperta. Altra particolarità è il battello pneumatico per le attività di boarding, il quale sarà movimentato da un innovativo sistema di lancio e recupero a mezzo “scivolo poppiero”, adottato per la prima volta sul naviglio della Guardia di Finanza, che ne permette la veloce messa in acqua e il recupero anche in condizioni meteo marine avverse.

Il pattugliatore è dotato di quattro sistemi principali, rispettivamente per la navigazione, il comando e controllo, le comunicazioni e l’armamento, con elevato standard tecnologico. L’unità dispone, tra l’altro, di due radar allo stato solido che assicurano una maggiore risoluzione e definizione dei bersagli acquisiti e di un sistema optronico per la sorveglianza dell’ambiente operativo.

Come sottolineato dal Comandante Generale, il “Petrucci” è il primo di una serie complessiva di 7 mezzi che andranno a consolidare la presenza istituzionale in mare ed in particolare il dispositivo di proiezione destinato ad operare nell’ambito della collaborazione internazionale. La realizzazione di questa nuova classe di unità, altresì, si inserisce in un ampio, strategico progetto di ammodernamento e potenziamento della flotta navale che consentirà alla Guardia di Finanza di assolvere in maniera ancora più efficace alle funzioni di polizia del mare, per la vigilanza delle frontiere marittime nazionali e comunitarie e per il contrasto dei traffici illeciti, con particolare riferimento al contrabbando, al traffico internazionale di stupefacenti ed al traffico illegale di esseri umani.

Condividi sui social

Matera: Guardia di Finanza, operazione “La terra”. Indagine nei confronti di organizzazione criminale dedita ai danni dell’I.S.M.E.A. mediante acquisto di terreni agricoli in regime di finanziamento agevolato erogato dall’U.E. (video)

(19) E’ stata condotta, sotto la direzione e il coordinamento della Procura della Repubblica di Matera, una articolata attività di indagine nel settore degli illeciti in materia di spesa pubblica da parte del Nucleo di Polizia Economico – Finanziario della Guardia di Finanza di Matera. Le investigazioni hanno consentito di rilevare plurime anomalie nelle procedure attuate da una serie di imprenditori agricoli e non della provincia di Matera nei confronti dell’Ente pubblico economico ISMEA che provvede a concedere specifiche agevolazioni finanziarie trentennali, finalizzate al primo insediamento in agricoltura, a giovani imprenditori che non abbiano superato il 40° anno d’età.

Chi è l’ISMEA (Istituto di Servizi per il mercato Agricolo Alimentare)? E’ un ente pubblico economico istituito con l’accorpamento dell’Istituto per Studi, Ricerche e Informazioni sul mercato agricolo e della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina, con D. L. vo 29/10/1999 n. 419, concernente il “riordinamento del sistema degli enti pubblici nazionali” e, per ultimo, con l’accorpamento dell’istituto sviluppo agroalimentare (ISA) S. p. a. e la società gestione fondi per l’agroalimentare (SGFA) s. r. l. con Legge 28/12/2015 n. 208. Nell’ambito delle sue funzioni istituzionali l’ISMEA realizza servizi informativi, assicurativi e finanziari e costituisce forme di garanzia creditizia e finanziaria per le imprese agricole e le loro forme associate, al fine di favorire l’informazione e la trasparenza dei mercati, agevolare il rapporto con il sistema bancario e assicurativo, favorire la competitività aziendale e ridurre i rischi inerenti alle attività produttive e di mercato.

L’ISMEA affianca le Regioni nelle attività di riordino fondiario, attraverso la formazione e l’ampliamento della proprietà agricola e favorisce il ricambio generazionale in agricoltura in base ad uno specifico regime di aiuto approvato dalla Commissione Europea.
Nello svolgimento delle sue attività istituzionali, l’ISMEA opera solo ed esclusivamente per mezzo dei propri funzionari e dirigenti ed in virtù del relativo potere di rappresentanza organica. In nessun caso e ad alcun titolo l’ISMEA si avvale di intermediari esterni.

Relativamente a tale ultimo aspetto, l’ISMEA ha predisposto uno specifico regime di aiuto denominato “agevolazioni per l’insediamento di giovani in agricoltura”, che prevede l’erogazione di un premio in conto interessi nell’ambito di interventi fondiari riservati a coloro che si insediano nelle aziende nel ruolo di capo ed in presenza di determinati requisiti (età, esercizio dell’attività agricola, cittadinanza, residenza, possesso di adeguate capacità e competenze professionali, insediamento aziendale entro tre mesi dalla data di comunicazione dell’ammissione alle agevolazioni).

Gli incentivi sono applicati su tutto il territorio nazionale e possono essere richiesti sia nel caso di una ditta individuale (un giovane agricoltore) e sia nel caso di società di persone, di capitali o cooperative, anche a scopo consortile (con maggioranza assoluta e numerica e delle quote di partecipazione dei soci).
I fatti e le situazioni ipotizzati nei capi di accusa sono esclusivamente riferibili all’aspetto innanzi indicato.

In particolare, nel corso delle indagini, anche tecniche, è emersa l’esistenza di sodalizio criminoso, composto da cinque soggetti (promosso, organizzato e diretto da due di questi) con lo scopo di vanificare, a proprio illecito vantaggio, le positive finalità della legge sull’imprenditorialità giovanile in agricoltura attraverso la commissione di diverse e numerose tipologie di reato.

In sostanza il “pactum sceleris” era preordinato:

  1. a monetizzare i terreni dei venditori, normalmente privi di una appetibilità commerciale e con una sopravvalutazione degli stessi, pur restando gli immobili nella disponibilità diretta/indiretta dei venditori/offerenti mediante l’intestazione fittizia a terzi acquirenti utilizzati come “teste di legno” aventi, solo formalmente, i requisiti per accedere alle agevolazioni finanziarie, (solitamente braccianti agricoli sottoccupati presso le stesse aziende riconducibili agli autori delle truffe, giovani disoccupati o occupati in altri settori (di solito privi di qualsivoglia conoscenza o competenza in materia agricola) o società fittizie create “ad hoc”).
  2. a non provvedere al pagamento delle rate di restituzione del finanziamento ricevuto da ISMEA, con conseguente perdita delle relative risorse erogate, nell’inerzia da parte dello stesso ente pubblico erogante che non provvedeva ad attivare azioni recuperatorie ovvero risolutive dei contratti stipulati con patto di riservato dominio.
  3. ad attuare il collaudato sistema con la complicità di funzionari pubblici infedeli appartenenti agli stessi Enti deputati ai preliminari accertamenti dei requisiti, alla valutazione degli immobili offerti ed alla successiva erogazione dei fondi pubblici;

consentendo, sostanzialmente, agli indagati di ottenere finanziamenti agevolati non dovuti in almeno 5 pratiche di primo insediamento giovanile ISMEA per un ammontare complessivo di circa 6 milioni di euro.

Una sesta pratica, comportante un finanziamento di 900.000,00 euro circa, non veniva portata a compimento a causa di un errore di carattere contabile commesso dai partecipi al suddetto sodalizio che omettevano di allegare alla stessa la “certificazione bancaria attestante il debito residuo del mutuo per il quale era stata accesa ipoteca volontaria”.

Si riporta, in maniera schematica, il sistema di frode attuato:

  1. il proprietario di un compendio composto da terreni e fabbricati veniva individuato al fine di richiedergli la cessione della proprietà degli stessi, di dubbia commerciabilità, ad un giovane soggetto, anche in veste di legale rappresentante di società (prestanome fittizio), che, esclusivamente sulla carta, si proponeva di insediarsi in agricoltura usufruendo dello specifico regime di aiuto;
  2. il proprietario ed il potenziale acquirente, supportati dal medesimo tecnico/agronomo, presentavano congiuntamente ad ISMEA apposita domanda nella quale il primo dava la disponibilità alla vendita e il secondo, ad insediarsi in agricoltura prospettando un progetto agricolo connotato da una pluralità di migliorie, in termini sia fondiari che di produttività, così da rendere credibile la redditività dell’intervento;
  3. una volta conclusa favorevolmente l’istruttoria da parte di ISMEA, anche grazie alla compiacenza di funzionario infedele che avallava sia una stima non congrua del compendio che la sostenibilità economica del progetto, il prefato Ente pubblico acquistava il compendio medesimo liquidando il valore stimato al venditore e contestualmente lo rivendeva, con patto di riservato dominio, al giovane che si era proposto di intraprendere l’attività agricola con l’obbligo da parte di quest’ultimo di restituire in trent’anni il prezzo pagato da ISMEA;
  1. il giovane imprenditore fittizio, talvolta prestanome del venditore ed in altro caso prestanome di professionista, gestore occulto di un affare prettamente finanziario, non provvedeva a condurre il compendio agricolo né, tantomeno, a pagare le rate di ammortamento del mutuo agrario contratto con l’ISMEA, consentendo la continuazione della gestione agli organizzatori della truffa.
  2. tutto quanto sopra è stato reso possibile anche perché ISMEA, dopo aver compravenduto il compendio, rimaneva inattivo nelle verifiche sulla realizzazione del piano di investimento prospettato in sede di domanda di aiuto, ma soprattutto non avviava alcuna azione nei confronti del “prestanome” resosi moroso nel pagamento delle rate di ammortamento del mutuo agrario. Fattispecie sicuramente anomala se si considera che la normativa regolante tale particolare regime di aiuto prescrive la risoluzione di diritto dell’atto di compravendita, ai sensi anche dell’art. 1456 c.c., qualora l’obbligato non avesse versato le prime 2 rate del prezzo pattuito.

I cardini del processo delittuoso erano costituiti da un infedele funzionario ISMEA e da un imprenditore agricolo- zootecnico di Montescaglioso, il primo con la funzione di calibrare i progetti agricoli presentati mediante l’aggiustamento di parametri creati “ad hoc” e di sostenerli presso ISMEA, il secondo con quella di procacciatore d’affari con il precipuo compito di individuare i soggetti interessati alla vendita dei terreni e gli acquirenti fittizi. Il tutto con la collaborazione di due tecnici agronomi di fiducia del Funzionario Ismea e di un impiegato della Regione Basilicata deputato a convalidare i valori di stima e l’attendibilità del progetto.

All’esito delle attività di indagine la Procura ha ritenuto esistente un grave quadro indiziario nei confronti di 22 persone tra cui anche un libero professionista di Matera resosi parte attiva attraverso la moglie (socia maggioritaria e legale rappresentante di una società creata “ad hoc”) di un acquisto simulato rientrante nelle ipotesi contestate al fine di lucrare circa 280.000 dall’operazione illecita, nonché nei confronti di cinque imprese ai sensi della normativa sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.

Il Giudice delle indagini preliminari, sulla base delle richieste avanzate dall’ Ufficio Inquirente, ha ritenuto la gravità delle fonti di prova prospettate, disponendo la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di 11 persone e il sequestro preventivo di oltre 4,5 milioni di euro agli indagati, nonché il sequestro preventivo dei beni relativi a 5 aziende, ai sensi della normativa dettata dal D. L. vo 08/06/2001 n. 231, per un valore di circa 3,7 milioni di euro per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa nei confronti dello Stato, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, riciclaggio, autoriciclaggio, ricettazione, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, favoreggiamento personale, emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Condividi sui social

Roma: Guardia di Finanza e Polizia di Stato, operazione “Sherwood”. Truffe nel settore delle compravendite immobiliari, 13 arresti (video)

(18) Personale del Comando Provinciale della Guardia di Finanza e della Questura di Roma hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del locale Tribunale, su richiesta della Procura delle Repubblica capitolina, nei confronti di 13 persone, appartenenti a due distinte associazioni per delinquere dedite alla commissione di reati di truffa, possesso e fabbricazione di documenti falsi nonché sostituzione di persona ai danni di istituti di credito e ignari cittadini mediante fittizie compravendite immobiliari e illecite richieste di finanziamento.

Le indagini, svolte congiuntamente dalle Sezioni di Polizia Giudiziaria – aliquote Guardia di Finanza e Polizia di Stato – e dal Gruppo Tutela Mercato Beni e Servizi del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma, sono scaturite dalle denunce presentate da alcuni proprietari di immobili, casualmente venuti a conoscenza della vendita (a loro insaputa) delle rispettive proprietà, e da direttori di varie banche, allarmati dagli insoluti delle rate di rimborso dei prestiti erogati a soggetti resisi improvvisamente irreperibili.

Pur variando gli enti creditizi, il modus operandi era comune e ben definito. Dopo l’individuazione di immobili realmente in vendita nella Capitale, i membri della gang ingaggiavano “figuranti” che, muniti di documenti falsi e utenze telefoniche intestate a soggetti inesistenti, si sostituivano al reale proprietario per stipulare “regolari” contratti di compravendita dinanzi a notai, anch’essi all’oscuro dell’attività̀ criminosa, e conseguenti atti di concessione di mutui a nome di – altrettanto fittizi – acquirenti. Ottenuto l’accredito della somma su un conto corrente acceso a nome del “finto” venditore, il denaro veniva prelevato pochi giorni dopo l’atto di vendita.

Tra la fine del 2018 e la prima metà del 2020, gli investigatori hanno ricostruito cinque episodi per un totale di oltre 600.000 euro di somme richieste, di cui due portati a compimento, uno interrotto con l’arresto in flagranza di 5 persone e i restanti due non conclusi per il diniego dell’erogazione del mutuo da parte delle banche.

Il G.I.P. ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 soggetti al vertice delle due organizzazioni, che agivano in modo autonomo, una nella zona est e l’altra nella zona ovest della Capitale.

Per 8 persone, che, a vario titolo, hanno preso parte alle varie truffe perpetrate e hanno fornito i documenti d’identità e fiscali contraffatti, sono stati disposti gli arresti domiciliari.

L’operazione odierna rientra nell’alveo delle attività svolte dalla Procura della Repubblica, dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato di Roma a tutela dei cittadini contro le condotte fraudolente che possono arrecare gravi danni ai loro patrimoni.

Condividi sui social

Napoli: Guardia di Finanza, operazione “Gemma”. Maxi frode carosello nel settore hi-tech, eseguiti sequestri di beni del valore di 16 milioni

(11) Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, all’esito di complesse indagini coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli – Terza Sezione criminalità economica ed informatica, ha eseguito, tra le regioni Campania, Lazio, Molise e Lombardia, un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni del valore di circa 16 milioni di euro.

La misura cautelare patrimoniale è stata adottata dal GIP del Tribunale di Napoli al termine di una complessa attività investigativa, anche di natura tecnica, nel settore del commercio di prodotti tecnologici ed informatici, che ha portato il 1° Nucleo Operativo Metropolitano al sequestro di disponibilità finanziarie presenti su conti correnti, beni immobili, automezzi, quote e partecipazioni societarie, considerati profitto illecito della frode fiscale.

Gli accertamenti di natura economico-finanziaria hanno preso le mosse dall’approfondimento di una richiesta di mutua assistenza amministrativa in materia fiscale pervenuta dall’Organo collaterale olandese, tramite il Comando Generale – II Reparto del Corpo, ed hanno documentato l’esistenza di un sodalizio criminale che ha ideato una complessa frode nel settore della compravendita di prodotti informatici ed elettronici (smartphone e tablet Apple/Samsung/Huawei, personal computer e relativa componentistica, console Xbox 360/One, Sony Ps4, Nintendo Wii e connessi accessori/videogiochi, smart TV Samsung/LG, sistemi di memorizzazione esterna USB/SSD/microSD ecc.), mediante la creazione e l’interposizione fittizia di svariati soggetti economici (società cartiere), finalizzata all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto nazionale e comunitaria, secondo il notorio meccanismo delle “frodi carosello”.

Nello specifico, gli acquisti intracomunitari sono stati effettuati da fornitori con sede in Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria.

Complessivamente, sono stati denunciati 19 soggetti responsabili dei reati di associazione per delinquere finalizzata all’emissione e all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed omessa dichiarazione.

Sedici le società che hanno preso parte alla maxi evasione fiscale, avente come protagonisti indiscussi un imprenditore e un commercialista partenopei, che risultano avere creato dal 2015 al 2018 un giro di fatture per operazioni inesistenti, in emissione ed utilizzo, per un ammontare superiore ai 200 milioni di euro.

Infine, dalle indagini è emerso come il libero professionista promotore della frode carosello si dedicasse anche alle indebite compensazioni di crediti inesistenti, che ammontavano a circa mezzo milione di euro e venivano effettuate attraverso modelli di pagamento F24 presentati direttamente in banca oppure utilizzando i servizi di home banking.

Condividi sui social

Senigallia (An): Guardia di Finanza, operazione “Domino”. 68 denunciati per l’evasione di 23 milioni ed il riciclaggio da parte di imprenditori cinesi

(9) Le Fiamme Gialle della Tenenza di Senigallia (AN) hanno portato a compimento, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Ancona, una vasta attività investigativa che ha permesso d’individuare, nell’ambito di ben 15 procedimenti penali, una complessa ed estesa frode nel settore del confezionamento di prodotti tessili all’interno del distretto di Senigallia- Ostra-Mondolfo, che ha portato alla denuncia, per reati fiscali, riciclaggio ed autoriciclaggio di proventi illecitamente accumulati di 68 soggetti di etnia cinese, che hanno gestito cinquantasette imprese che operavano nello specifico settore.

Le indagini sono state avviate nel 2016 attraverso una attenta analisi d’intelligence di dati finanziari, tra cui quelli relativi alle persone e società che presentavano posizioni debitorie per centinaia di migliaia di euro nei confronti del Fisco e degli enti previdenziali nella provincia di Ancona per mancati versamenti di imposte e contributi.

I finanzieri sono riusciti così a individuare numerose ditte individuali, localizzate all’interno del citato distretto industriale della manifattura tessile, riconducibili a persone di origine orientale, le quali, attraverso sistematiche condotte di evasione fiscale e contributiva riuscivano a offrire prezzi concorrenziali per le commesse ricevute da imprenditori italiani del comparto tessile.

Il sistema di frode scoperto veniva ripetutamente realizzato da ben cinquantasette imprese e consentiva il metodico mancato versamento all’Erario delle imposte dirette, dell’I.V.A. nonché dei contributi fiscali e assicurativi attraverso una programmata anomala “breve vita” della singola realtà aziendale, la quale veniva appositamente fatta cessare, solo in via formale, dopo appena due o tre anni, accumulando ingenti debiti verso lo Stato.

In realtà, veniva garantita la prosecuzione dell’attività industriale in “continuità aziendale” grazie al preordinato utilizzo delle precedenti sedi, dei medesimi capannoni, avvalendosi delle identiche risorse umane e beni materiali, dello stesso tenutario delle scritture contabili e a favore dei precedenti clienti committenti dei lavori.

I militari dipendenti dal Comando Provinciale di Ancona hanno eseguito, nel corso delle complesse investigazioni, numerose perquisizioni durante gli orari notturni mentre venivano confezionati i capi di abbigliamento, sia presso gli opifici che le abitazioni degli indagati sequestrando disponibilità finanziarie, copiosa documentazione contabile e extra-contabile.

I numerosi e gravi indizi così acquisiti hanno consentito di rilevare come ciclicamente il titolare e un dipendente della ditta di turno coinvolta, che veniva fatta appositamente cessare, procedevano strumentalmente a “invertire” i loro ruoli diventando, rispettivamente, dipendente e titolare di una neo-costituita impresa, la quale subentrava alla precedente, che invece non aveva intenzionalmente onorato i suoi debiti fiscali e contributivi.

Tale ciclo si ripeteva con cadenza quasi biennale e la cessazione della partita IVA rappresentava, pertanto, un mero strumento di dissimulazione della continuità aziendale, consentendo al dominus di turno di sottrarsi, in modo fraudolento, al pagamento delle imposte

In determinati casi gli uomini delle Fiamme Gialle sono riusciti a scoprire che gli imprenditori indagati per evitare il pagamento delle imposte, abbattendo la base imponibile da dichiarare, facevano uso di fatture per operazioni inesistenti, emesse da altre aziende cinesi per un totale di quattro milioni di euro.

Sulla base della richiesta del magistrato inquirente il Tribunale di Ancona ha disposto a carico degli indagati il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità degli stessi fino alla concorrenza di euro 5.489.338.

I finanzieri hanno, pertanto, sottoposto a sequestro disponibilità finanziarie rinvenute sui conti correnti per settecentotrentasettemila euro, crediti presso terzi per un valore di oltre 1.493.000,00 euro, cinque opifici per oltre tremila metri quadrati, 342 macchinari e sei autovetture.

I sequestri, effettuati anche nei confronti di prestanome, sono stati confermati in più occasioni dal Tribunale del riesame che ha condiviso le ipotesi di reato prospettate dalla Procura della Repubblica e convalidate dal G.I.P..

Il Tribunale di Ancona, negli ultimi due anni, ha emesso sentenze, passate in giudicato, con cui ha confermato le condanne richieste dal Pubblico Ministero nei confronti di diversi imprenditori cinesi e dei loro prestanome nonché disposto la confisca di beni mobili ed immobili loro riconducibili per un valore di euro 1.151.896,00. In tale contesto i finanzieri di Senigallia hanno sottoposto a confisca disponibilità finanziarie e n.3 degli opifici già sottoposti a sequestro per un ammontare complessivo di euro 1.038.471,00.

Parallelamente sono state sviluppate apposite verifiche fiscali nei confronti degli imprenditori coinvolti, di cui ventiquattro sono risultati evasori totali (in quanto non hanno presentato le dichiarazioni fiscali), che hanno portato a constatare complessivamente ricavi non dichiarati per 23 milioni di euro, IVA dovuta per 5 milioni di euro e fatture per operazioni inesistenti per un imponibile di quattro milioni di euro.

Significativi i ruoli degli imprenditori cinesi noti come “Luisa”, “Linda”, “Francesco”, “Mike”, “Romeo”, “Marco” e “Marcello” formalmente residenti nella provincia di Ancona, che sono risultati essere le “menti” del sistema illecito in quanto, ognuno di essi, sovrintendeva in ogni opificio individuato, alla propria filiera di lavorazione, operando nell’ombra grazie all’utilizzo di “prestanome” o propri familiari, proseguendo nel tempo l’esercizio della propria attività, creando veri e propri “filtri” con meccanismo di scatole sovrapposte, costituendo un reale ostacolo per il successivo recupero della pretesa erariale.

Gli ulteriori approfondimenti eseguiti in materia di lavoro hanno permesso di rilevare la presenza nei predetti stabilimenti di ventisei lavoratori in nero che, anche a causa dei prolungati turni, venivano fatti dormire negli stessi luoghi di lavoro in aree non idonee, allestite come veri e propri “dormitori”, prive di via di fuga, senza idonee misure di sicurezza e con la presenza di materiali ad elevato rischio di incendio. Tali dipendenti utilizzavano delle zone improvvisate per la cottura dei cibi in precarie condizioni igieniche.

Per salvaguardare l’incolumità fisica dei dipendenti e prevenire i gravi rischi è, quindi, proceduto al sequestro preventivo dei predetti immobili, in ossequio alle direttive dettate dalla Procura della Repubblica.

I proventi riciclati e/o autoriciclati dopo un’attenta azione di ripulitura confluivano nei conti correnti dei dominus e trasferiti in Cina ovvero utilizzati per l’acquisto di altre attività commerciali, di beni di lusso in note boutique milanesi site in via Montenapoleone ovvero utilizzati in case da gioco on-line assiduamente frequentate.

Nel corso delle indagini sono state segnalati all’Unità d’Informazione Finanziaria della Banca d’Italia n. 4 istituti di credito, n. 7 direttori di filiale e n. 2 commercialisti per aver omesso di segnalare operazioni sospette ai fini della normativa antiriciclaggio.

Le ragioni della proliferazione di tali imprese è derivata, grazie ai ripetuti illeciti, dai prezzi competitivi che queste sono state in grado di assicurare ad alcuni operatori del primario settore marchigiano del tessile, segmento ad alta incidenza di capitale umano, abbattendo indebitamente i costi di produzione, danneggiando gli operatori corretti e conseguendo ingiustificate performance sul mercato, tali da alterare le dinamiche della libera concorrenza nonché determinare, in modo indiretto, gravi danni sia al gettito erariale, nazionale e locale, che agli altri imprenditori onesti.

Condividi sui social

Firenze: Guardia di Finanza, operazione “Minerva”. Eseguite 34 misure cautelari e sequestri antimafia per oltre 8 milioni

(7) I militari del Comando Provinciale di Firenze e dello S.C.I.C.O. di Roma della Guardia di Finanza, alle prime luci dell’alba di mercoledì 20 gennaio 2021, nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, hanno dato esecuzione a un provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Firenze, Dott. Federico Zampaoli, che ha disposto 34 misure cautelari, di cui 4 in carcere, 6 ai domiciliari, 9 obblighi di dimora e 15 misure di interdizione personale con divieto di svolgimento di tutte le attività inerenti l’esercizio di imprese ed il sequestro preventivo agli indagati di beni e disponibilità, anche per equivalente, fino alla concorrenza di circa 8.300.000 euro.

I plurimi reati contestati sono l’associazione per delinquere (416 c.p.), il riciclaggio, l’autoriciclaggio e il reimpiego (art. 648 bis, 648 bis -1, 648 ter c.p.), l’intestazione fittizia di beni (512 bis c.p.), l’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (2 e 8 D.lgs 74/2000), con l’aggravante di cui all’art 416 bis – 1 c.p., per aver favorito l’associazione camorristica clan dei “Casalesi”.

Oltre alle responsabilità penali delle persone fisiche, vengono contestati illeciti per fatti dipendenti da reato a 23 persone giuridiche, ai sensi dell’art 5 decreto legislativo 231/2001, che disciplina la responsabilità degli enti.

Le attività sono state eseguite nelle province di Firenze, Lucca, Pistoia, Treviso, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Roma, Isernia e Caserta, con la collaborazione dei Reparti del Corpo competenti per territorio e del R.O.A.N. di Napoli.

La complessa ed articolata attività di indagine, svolta dal G.I.C.O. del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Firenze con la collaborazione dello S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza, fondata anche sulla sistematica ricostruzione dei movimenti bancari e finanziari, nonché su minuziosi accertamenti economico-patrimoniali, è stata diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Firenze – Procuratore Capo Dott. Giuseppe Creazzo e Sostituto Procuratore Dott. Giulio Monferini, che ha operato con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e la collaborazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.

Le indagini hanno tratto origine dallo sviluppo di informazioni afferenti a numerosi investimenti immobiliari e commerciali effettuati nel 2016 nella provincia di Siena da due commercialisti campani, affiancati, tra gli altri, da un architetto fiorentino, originario del casertano, ritenuti contigui ad ambienti di criminalità organizzata che facevano riferimento al clan dei “Casalesi”.

Gli approfondimenti e le investigazioni hanno permesso di rilevare che soggetti collegati al clan, attraverso molteplici società operanti nei settori immobiliari e commerciali, avevano reimpiegato ingenti disponibilità finanziarie di provenienza delittuosa in attività imprenditoriali ubicate anche sul territorio toscano.

Partendo dal flusso dei pagamenti relativi all’esecuzione dei lavori appaltati, le Fiamme Gialle hanno disvelato un complesso sistema di false fatturazioni posto a copertura di cospicui e continui bonifici in uscita dalle aziende di costruzione e disposti a vantaggio di società “cartiere”. I conti correnti di queste venivano poi svuotati attraverso un’organizzata squadra di “bancomattisti prelevatori”, persone prossime alla soglia della povertà e alcune delle quali beneficiarie di reddito di cittadinanza (RdC, sostegno economico introdotto nel 2019) o di emergenza (REM, misura introdotta a seguito dell’emergenza epidemiologica), remunerate dal sodalizio con commissioni pari al 2 – 3% delle somme monetizzate.

Nel dettaglio, è stato rilevato un sofisticato sistema fraudolento, fondato su diverse società, ritenute riconducibili agli indagati e formalmente gestite da prestanome, che hanno svolto diversi lavori edili sul territorio nazionale, operando perlopiù in subappalto. L’esecuzione dei lavori e la successiva fatturazione da parte dei committenti dava corso ad una prima serie di fatture per operazioni inesistenti a favore di società di comodo che attestavano falsamente la collaborazione nei lavori. L’ulteriore fase prevedeva altre fatturazioni per operazioni inesistenti a favore di altre “cartiere”, i cui amministratori, anch’essi meri prestanome, operavano il prelievo di contanti delle somme di denaro a titolo di pagamento di prestazioni in realtà mai rese. Dedotti i compensi ai prestanome, le somme prelevate finivano poi ai promotori dell’associazione a delinquere per essere successivamente riciclate attraverso investimenti immobiliari nelle province di Pistoia, Lucca, Modena, Roma, Isernia e Caserta.

Nel corso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, alcune delle attività imprenditoriali coinvolte nel sistema fraudolento hanno anche chiesto ed ottenuto contributi a fondo perduto previsti dal “Decreto Rilancio” e finanziamenti garanti dallo Stato ex “Decreto Liquidità”.

L’operazione si inserisce in una più ampia strategia istituzionale di contrasto alle infiltrazioni criminali, realizzata sul territorio dalla Guardia di Finanza con il coordinamento della DDA fiorentina.

Condividi sui social

Catania: Procura della Repubblica e Guardia di Finanza, sequestro patrimoniale a ditta individuale per un valore di 60.000 euro

(5) Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate da questa Procura della Repubblica, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito un provvedimento di sequestro patrimoniale in materia antimafia – emesso dal Tribunale etneo, Sezione Misure di Prevenzione – relativo a una ditta individuale, operante nel settore della coltivazione agricola e della ristorazione, e il relativo terreno, per un valore complessivo di circa 60 mila euro.

Si tratta dell’esito di ulteriori accertamenti patrimoniali, svolti dal GICO del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania e dalla Compagnia della Guardia di finanza di Caltagirone, nei confronti di GIOVANNI PAPPALARDO (Catania, 1974) e dei suoi familiari, tutti residenti a Palagonia (CT), già destinatari, a ottobre 2020, di un provvedimento di sequestro relativo a terreni, una villa e conti correnti per circa 270 mila euro.

In particolare, le indagini hanno consentito di:

– da un lato, confermare la pericolosità sociale del predetto PAPPALARDO, condannato, tra l’altro, per associazione a delinquere di tipo mafioso e molteplici “reati fine” (estorsioni a danno di imprenditori del catanese), nonché, con sentenza definitiva, per gravissimi reati quali rapina e omicidio;

– dall’altro, la sproporzione tra il profilo reddituale del nucleo familiare del citato PAPPALARDO, che in alcune annualità ha dichiarato redditi pari a zero, e il complesso patrimoniale.

Nel dettaglio, le indagini svolte dalla Guardia di finanza di Catania hanno posto in luce, in primo luogo, la pericolosità sociale del citato PAPPALARDO al fine dell’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali. Sotto questo aspetto – in aggiunta alla condanna definitiva per rapina e omicidio – di rilievo è risultata l’appartenenza di PAPPALARDO all’associazione a delinquere di tipo mafioso denominata “Cosa nostra” e, in particolare, alla “famiglia” di Caltagirone.

Al riguardo, è emerso che il proposto – condannato dal GIP di Catania a 13 anni e 6 mesi di reclusione – ha partecipato ad almeno quattro summit tra esponenti di punta delle famiglie catanesi e calatine di “Cosa nostra” (clan Santapaola, Ercolano e Floridia per il clan Nardo di Lentini), nell’ambito dei quali, tra l’altro, è stata discussa la nomina del “rappresentante provinciale” dell’associazione criminale e la ripartizione dei proventi delle estorsioni (7 episodi di estorsione nei confronti di imprenditori catanesi, operanti nel settore delle costruzioni, del movimento terra e delle onoranze funebri).

Le investigazioni condotte dal GICO della Guardia di finanza di Catania e dalla Compagnia di Caltagirone si sono poi concentrate sul profilo economico-finanziario del proposto e, soprattutto, del suo nucleo familiare (moglie e figlie): Giovanni PAPPALARDO infatti non risulta direttamente intestatario di beni immobili.

Le indagini, estese pertanto ai restanti componenti della famiglia, hanno posto in luce che la presenza di ulteriori particelle di terreno – acquisite nel tempo da Pappalardo – e di una ditta individuale, formalmente intestata alla moglie del proposto, attiva nel settore della coltivazione agricola e della ristorazione.

Anche questo patrimonio è stato realizzato da PAPPALARDO a fronte di una significativa sproporzione rispetto al reddito dichiarato: infatti, per ciascuno degli anni nel periodo dal 2002 al 2018, il nucleo familiare del proposto ha presentato dichiarazioni di redditi minimali e, in un anno, anche pari a zero.

Al termine delle attività di indagine, su richiesta di questo Ufficio, il Tribunale di Catania – Sezione Misure di Prevenzione ha così disposto il sequestro, finalizzato alla confisca, della ditta individuale e dei terreni agricoli.

Condividi sui social

Palermo: Guardia di Finanza, 9 arresti e maxi sequestro di oltre 2 tonnellate di sigarette di contrabbando provenienti dal Nord Africa

(4) Militari della Guardia di Finanza di Palermo e della componente aeronavale del Corpo, nell’ambito di un articolato dispositivo di contrasto ai traffici illeciti via mare, hanno portato a termine una rilevante operazione di servizio che si è conclusa con l’arresto di 9 soggetti – italiani, tunisini, libici ed egiziani – e il sequestro di 2 imbarcazioni, 2,2 tonnellate di tabacchi lavorati esteri (T.L.E.) di contrabbando provenienti dal Nord Africa e 60.000 euro in contanti.

L’intervento, condotto con l’impiego di numerosi mezzi aerei e navali – costieri e alturieri – del Comando Operativo Aeronavale di Pratica di Mare (RM) e del Reparto Operativo Aeronavale di Palermo, in coordinamento con gli investigatori del Nucleo di Polizia economico finanziaria di Palermo, ha interessato il tratto di mare prospiciente le coste del trapanese.

In particolare, nella serata di venerdì scorso – su segnalazione del Comando Generale della Guardia di Finanza – un elicottero del Comando Operativo Aeronavale, in servizio di ricognizione nel canale di Sicilia, rilevava e documentava la rotta di un peschereccio di circa 20 metri al largo di Lampedusa che si dirigeva verso Mazara del Vallo (TP).

Veniva quindi predisposto uno strutturato dispositivo di polizia, con l’impiego di ulteriori mezzi aerei e navali in forza al Gruppo Aeronavale di Messina, al Gruppo Esplorazione Aeromarittima e al Reparto Operativo Aeronavale di Palermo e con il supporto investigativo degli specialisti del G.I.C.O. del Nucleo di polizia economico-finanziario di Palermo.

In esito a tale azione di coordinamento, era così possibile avvistare un secondo natante (un motoscafo di 9 metri) che, nonostante le condizioni meteo avverse, era diretto in maniera sospetta verso il peschereccio.

Lo sviluppo dello scenario operativo portava ad accertare che la “nave madre” stazionava ai limiti delle acque territoriali ove aspettava il motoscafo proveniente dalla costa, verosimilmente per un trasbordo illecito.

Il dispositivo di intervento si attivava nel momento in cui il motoscafo faceva rientro all’interno delle acque territoriali (12 miglia), ove veniva fermato dalle imbarcazioni del Corpo che, rilevata la presenza a bordo del natante di t.l.e., si ponevano prontamente all’inseguimento

del peschereccio che nel frattempo stava cercando, senza successo, di riprendere il largo in direzione Nord Africa.

Le imbarcazioni contrabbandiere abbordate venivano quindi condotte nel porto di Mazara del Vallo (TP).

L’operazione si è conclusa con l’arresto dei 6 membri dell’equipaggio (di nazionalità egiziana, tunisina e libica) dell’imbarcazione nordafricana e di 3 italiani, acquirenti del TLE di contrabbando, originari della provincia di Palermo, che si trovavano a bordo del motoscafo ove erano stati trasbordati i t.l.e. di contrabbando.

Uno dei tre cittadini italiani è risultato percepire da marzo 2020 il reddito di cittadinanza per un ammontare di 900 euro mensili, beneficio che verrà immediatamente sospeso, così come previsto dalla normativa vigente.

La perquisizione effettuata a bordo del peschereccio libico ha poi consentito di rivenire, abilmente occultati dietro un pannello della sala macchine, 60.000 euro in contanti, sottoposti a sequestro in quanto ritenuti il provento illecito dell’avvenuta cessione del TLE.

Le oltre 2 tonnellate di sigarette sequestrate, destinate a rifornire i mercati siciliani e in particolare la piazza di Palermo, avrebbero fruttato all’organizzazione criminale introiti per circa 300.000 euro.

I soggetti tratti in arresto sono stati tradotti presso le case circondariali di Trapani e Palermo, a disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, competente per territorio in considerazione dell’area in cui si sono svolte le operazioni di servizio.

Il Mar Mediterraneo si conferma, in definitiva, uno dei bacini mondiali maggiormente interessati dai traffici illeciti.

In questo scenario, la Guardia di Finanza svolge il suo ruolo esclusivo di “polizia del mare”, potendo sfruttare le potenzialità di un dispositivo integrato tra la componente investigativa territoriale e quella aeronavale, costiera e di proiezione, tanto per il controllo delle frontiere esterne, quanto per la difesa degli interessi economico-finanziari del Paese e dell’Unione Europea.

Condividi sui social

Vicenza: Guardia di Finanza, operazione “Dimenticatoio”. Sequestrati circa 6 milioni a società rea di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e bancarotta fraudolenta patrimoniale

(1) I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Vicenza hanno dato esecuzione ad un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il locale Tribunale per l’importo di oltre 4,2 milioni di euro, in relazione al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte sul conto di due amministratori di una società vicentina, avente una cospicua parte della clientela rappresentata, tramite appalti, da Enti pubblici o da società riconducibili al settore pubblico, e per l’ulteriore cifra di oltre 1,7 milioni di euro in capo a tre amministratori della stessa impresa, due dei quali già attinti dalla precedente misura, in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

L’operazione di polizia economico-finanziaria trae origine dalla metodologia operativa “Dimenticatoio”, basata sull’utilizzo dell’informatica operativa per l’individuazione degli indici di rischio economico-finanziario e finalizzata al contrasto del fenomeno rilevato, in numerosi casi di frode fiscale, per il quale gli amministratori e/o titolari di quote di società con rilevanti debiti tributari provvedono a cedere le proprie quote a soggetti “nullatenenti”, a far nominare una “testa di legno” quale nuovo amministratore e, soprattutto, a trasferire la propria sede legale dalla provincia berica in un’altra, spesso in una grande città metropolitana, al fine di evitare o attenuare il rischio in capo agli ideatori della frode, ossia i reali beneficiari del profitto illecito da evasione fiscale, di incorrere in controlli erariali.

In particolare, le indagini in materia fallimentare svolte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, coordinati dalla Procura della Repubblica di Vicenza, avevano portato a rilevare che l’attivo patrimoniale della predetta azienda, nel corso del 2014, era stato fraudolentemente trasferito ad un’altra impresa, riconducibile ai primi due amministratori citati, mediante una strumentale operazione di scissione societaria avvenuta in pieno stato di dissesto della società – all’epoca già indebitata verso l’Erario per oltre 6 milioni di euro e successivamente dichiarata fallita nel 2016 – così svuotandola delle risorse necessarie per rientrare dall’ingente debito verso l’Amministrazione finanziaria, individuabili nel valore dell’attivo societario illecitamente trasferito di oltre 4,2 milioni di euro.

Nel contempo, dalle investigazioni è emersa la responsabilità dei due predetti amministratori, unitamente ad un terzo, per la distrazione di liquidità, pari al citato importo di oltre 1,7 milioni di euro, nel periodo antecedente al fallimento, in danno del ceto creditorio.
Nel caso di specie, l’operazione di scissione si è rivelata volutamente depauperatoria ed idonea ad ostacolare l’attività di riscossione coattiva da parte del Fisco, nonché di tutti gli altri creditori sociali i quali, nell’intento di recuperare le somme dovute, si trovano a dover ricercare i beni trasferiti e la società beneficiaria degli stessi, con il rischio di lungaggini ed eventualità della prescrizione del debito, tenendo presente che la nuova “good company” indagata ha poi cambiato numerose sedi e denominazioni.

L’intento distrattivo e fraudolento dell’intera operazione di scissione appare, altresì, esser avvalorato dal fatto che, dall’anno 2012 la società esposta con l’Erario ha trasferito più volte la propria sede legale tra le province di Vicenza, Roma e Cosenza, al fine di sfuggire ai controlli fiscali essendo più facile farlo in città metropolitane ove si contano molte più “partite IVA” rispetto a quelle operanti in territori di provincia.

La ricostruzione investigativa effettuata, condivisa dal G.I.P. presso il locale Tribunale, ha portato all’emissione dei menzionati provvedimenti magistratuali, in esecuzione dei quali i militari hanno sottoposto a sequestro, nel complesso, disponibilità finanziarie e quote societarie nei confronti di T.M., 52enne di Roma, D.V.M., 47enne di San Giovanni in Persiceto (BO) e G.M., 60enne di Roma, amministratori della fallita, per un totale di oltre 117.000 euro, nonché beni immobili in capo al predetto T.M., costituiti da un’abitazione ed una pertinenza ubicati a Villaga (VI), per un valore di circa 290.000 euro.

Tali immobili erano stati simulatamente alienati, nel 2013, in favore del coniuge con lo scopo di evitare l’apprensione patrimoniale degli stessi da parte dell’Amministrazione finanziaria; tuttavia, le investigazioni ne hanno dimostrato la piena riconducibilità all’indagato.
L’operazione di polizia economico-finanziaria del Corpo svolta si inquadra nella costante azione di contrasto alle diverse forme di criminalità economica ed è stata sviluppata trasversalmente, facendo leva sulle peculiari funzioni di polizia giudiziaria, tributaria e valutaria, nella prospettiva di assicurare all’Erario ed ai creditori, attraverso il sequestro preventivo eseguito, il soddisfacimento delle legittime pretese creditorie.

Condividi sui social